La mattina dei gigli

da Stella Mattutina, Ada Negri, 1921, romanzo autobiografico. L’autrice narra di se stessa, delle umiliazioni vissute da bambina, figlia della portinaia nella villa di una famiglia benestante. Segnalo questo passo perché m’ha sorpreso una sensibilità che nel 1920 già riusciva ad identificare cosa possano provocare in un bambino certe umiliazioni.

 

 

Salgono a far visita alla signora dei palazzo; maestosa femmina, che fu assai bella in giovinezza, ma ora affoga nel grasso e soffre d’ipertrofia di cuore; e sarebbe buona; ma ha modi troppo alteri e bruschi, perché le venga riconosciuta la sua bontà.

Dirige la propria casa con l’energia d’un comandante di vascello, e fuma insaziabilmente, giorno e notte, sigari virginia, lunghi, dall’acre odore.

Non vuoi male alla portinaretta; e pure possiede il segreto di fustigarla a sangue con poche, recise parole.

Un giorno le toglie di mano il quaderno dei componimenti: lo sfoglia come si sfoglia un taccuino quando si cerca una data, lo leggicchia qua e là; e sentenzia: «Questa non è farina del tuo sacco: roba rubacchiata, presa a prestito: via! Tu leggi troppi romanzacci, bambina».

La bambina, che in quel momento si sente una donna, risponde di no, di no, più con il gesto del capo che con la voce. Di no, di no: che non ha rubato. Ma ha il viso color ramarro, e gli occhi cattivi. E le sembra che nella vita l’avrà sempre dinanzi, la grossa signora energica che puzza di sigaro, a strapparle di mano il quaderno, e a dirle: “Non è roba tua: hai mentito”.

E l’odia, come odia la portineria. Ma più sente il rancore crescerle dentro una mattina: la mattina dei gigli.

Tutta un’aiuola di gigli, fiorita quasi all’improvviso, lungo il muro orientale dei giardino, quella mattina di giugno. Gigli nel sole: ella non vede altro.

Ieri erano ancora in boccio; ma chi ha mai potuto assistere al preciso momento dello schiudersi d’un fiore?

Ella s’è pian piano avvicinata al miracolo dei candidissimi calici, eretti sugli alti gambi, con stami dorati al posto del cuore.

Le par giorno di festa, perché i gigli sono fioriti. Le par d’essere in chiesa, e l’aroma che respira le ricorda la santa comunione.

Tende le mani come per pregare… Ma ecco, da una delle finestre verso il giardino, la rauca voce della signora: «Ehi, là, dico! Non si toccano i fiori! Guai a te se ti prendi un giglio!».

Non voleva toccare. Stava in adorazione, soltanto. Quella donna ha bestemmiato.

Vi sarà sempre una ruvida voce che l’accuserà d’essere una ladra, ogni qual volta ella tenderà le braccia e l’anima verso la bellezza? Amare la bellezza è un peccato?