L’ inglese come lingua franca della conoscenza

Viene prima il pensiero o l’ enunciato? A volte ho come l’ impressione che la mentalità conti più della lingua:

abstract berry

Dedicato a chi si è perso dentro libri labirintici (in genero italiani o francesi) senza capir bene dove cazzo stessero e quali fossero le tesi sostenute.

9 pensieri su “L’ inglese come lingua franca della conoscenza”

  1. ahahaha
    mi ricorda l’altro bellissimo studio sul “Perché il linguaggio è vago” (se non ricordo male).
    Abstract. Non lo so.

    In uno di quei labirinti mi ci sto perdendo in questi giorni, come lettrice. Ho acquistato il libro “Il giallo di Wittgenstein”, perché avevo letto la storia di questo giallo che Wittgenstein (consumatore compulsivo di polizieschi hard-boiled) aveva amato al punto da desiderare di scrivere al suo autore, Norbert Davis, per ringraziarlo. Purtroppo, non ha fatto in tempo perché poco dopo Davis si è ucciso. Proprio nei mesi in cui tra l’altro Wittgenstein era in America, e se c’era uno che avrebbe forse potuto salvarlo, era lui – sopravvissuto alle proprie tendenze suicide e ai suicidi dei fratelli. Insomma, questo libro prometteva di spiegare che cosa, nel libro di Davis, avesse “risuonato” dentro W. Quali, le affinità tra il loro modo di pensare le cose, e tra loro. Senz’altro lo farà, immagino, ma con un linguaggio che si rivolge agli addetti ai lavori, e parecchio esperti anche. Leggo e rileggo cercando appigli, tra un “perspicuo” e un “aspettuale”, ma scivolo sempre. Si capisce che l’autrice, Sara Fortuna, è una giovane studiosa serissima e brillante. Avrei solo voluto che parlasse un pochino anche a me.

  2. in compenso, proprio la frustrazione di non riuscire a capire tante cose, mi ha portato a fare ricerche, e a trovare questo documento sulla vicenda, che invece è abbordabile anche per chi non ha strumenti “tecnici”
    http://www.mysteryfile.com/NDavis/Wit.html
    tra l’altro interessantissimo e pieno di informazioni, foto e molto altro…

  3. “aspettuale”?

    Cavolo!

    Il mondo di W., in effetti, è un mondo difficile . Non so se perchè troppo prolisso o troppo ermetico.

    La materia (filosofia del linguaggio) è difficile di per sé ma ci sono autori (anche notevoli come Bertrand Russell) in grado di introdurti gradualmente facendoti pensare che capisci tutto (poi a un certo punto li molli e li lasci proseguire da soli, ma le tue soddisfazioni te le sei tolte). Lui, invece, entra subito in media res e per il lettore sprovveduto è uno shock.

    In fondo non mi meraviglia che avesse una qualche passioncella per la letteratura di genere: per lui tutto era un “gioco linguistico” e certe letterature di genere un po’ piatte (parlavamo d’ opera) possono essere recuperate proprio come “gioco linguistico”. Ora leggo il link.

  4. in realtà gli piacevano proprio perché non erano affatto “piatte”, ma – al contrario – entravano meglio di certa filosofia “in medias res”. Almeno credo. Una volta disse addirittura che non capiva perché i filosofi sprecassero tempo a leggere “Mind” (rivista ad alto tasso filosofico) quando potevano ordinarsi le migliori riviste americani di racconti polizieschi …

  5. è molto interessante anche – credo che lo scriva l’autore del documento linkato, ora non ricordo bene – che i traduttori di Wittgenstein tendevano sempre ad abbellire, arricchire e “raffinare” il suo linguaggio che a volte risultava troppo ruvido e scarno – e anche buffo secondo me – perché temevano che gli togliesse autorevolezza! Insomma, era un filosofo hard-boiled.
    Non so perché W. mi piace tanto. Non ci capisco quasi niente, ma lo adoro. E’ entrato di diritto nella mia galleria di bambini avvincenti.

  6. impudente, duro, irriverente, sprezzante del pericolo… (il tipico detective/filosofo hard-boiled)

    Ecco la lettera di W. all’amico ed ex-allievo Malcolm, a cui chiede di trovargli Davis… (ma Malcolm non si darà troppo da fare, purtroppo)

    Caro Norman,
    grazie tante delle riviste di gialli. Prima che arrivassero stavo leggendo un giallo di Dorothy Sayers, ma era così dann… brutto che mi deprimeva. Così, quando ho aperto una delle tue riviste è stato come uscire da una stanza asfissiante all’aria fresca. E a proposito di polizieschi, vorrei che mi facessi una piccola indagine, quando non avrai niente di meglio da fare. Un paio d’anni fa ho letto con grande piacere un poliziesco intitolato Rendez-vous with fear (Appuntamento col terrore) di un certo Norbert Davis. Mi è piaciuto talmente tanto che l’ho dato da leggere oltre che a Smythies anche a Moore, ed entrambi hanno condiviso il mio entusiasmo. Perché anche se, come sai, ho letto centinaia di racconti che mi hanno divertito e mi è piaciuto leggere, credo di averne letti forse due che definirei roba di qualità, e il racconto di Davis è uno di quelli. Qualche settimana fa l’ho ritrovato per una strano caso in un paesino in Irlanda, è uscito in un’edizione intitolata “Cherry Tree Books”, tipo “Penguin”. Ora, vorrei che chiedessi a una libreria se Norbert Davis ha scritto altri libri, e di che tipo. (E’ americano.) Potrà sembrarti assurdo, ma quando ho riletto di recente quel racconto, mi è piaciuto di nuovo così tanto che ho pensato che mi farebbe piacere scrivere all’autore e ringraziarlo. Se è da matti non farci caso, perché sono matto anch’io. Non mi sorprenderebbe se avesse scritto un sacco e solo questo racconto fosse così bello.
    Con affetto,
    Ludwig

  7. la faccia dell’interprete dice più di mille parole.
    Strunz! – quando perde le staffe nel ’98, fantastico.

    W. amava vedere i musical al cineama, per rilassarsi, ma chissà come sarebbe stato guardare una partita di calcio con lui. Quali cose avrebbe notato.

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