NICHILISMO TAPPABUCHI

Perché esiste l’universo? Tre risposte:

(1) Fatto bruto: l’esistenza del nostro universo è una coincidenza inspiegabile.

(2) Teismo: l’universo è creato da Dio.

(3) Molti universi: poiché gli universi sono molti, il fatto che ci sia anche il nostro non deve sorprendere.

Derek Parfit, il più grande filosofo a mia conoscenza, difende (1), e la cosa mi induce a pensare. Riguardo a (1) vorrei solo precisare che sostiene la non-esistenza di una spiegazione, non il fatto che non la conosciamo o non possiamo conoscerla.

L’ipotesi (1) ha il vantaggio di essere semplice (non deve postulare Dio) ma d’altra parte nega il “principio di ragion sufficiente” (PRS), quello per cui tutto ha una spiegazione, anche se non le conosciamo tutte. Se tutto ha una spiegazione, possiamo dire che la “coincidenza” non è mai una buona spiegazione. Si tratta infatti di una soluzione “tappabuchi” buona per tutte le occasioni, il che la scredita in partenza.

Dio toglie di mezzo la coincidenza: se Dio esistesse le probabilità che esista anche il nostro universo s’impennano. D’altra parte Dio complica il quadro aggiungendo un’entità che nell’ ipotesi (1) non era necessaria. Qualcuno potrebbe obbiettare che nel passaggio dal fatto bruto a Dio l’assenza del PRS non viene sanata ma solo traslata: anziché sospendere la spiegazione dell’universo, infatti, dovremmo sospendere quella di Dio. Questo è vero: se prima rinunciavo a spiegare un fatto fisico, ora rinuncio a spiegare un fatto metafisico. Tuttavia, la traslazione non è neutrale: ci sono più probabilità che una proprietà singolare si applichi ad un ente singolare che non a un ente comune. Perché mai l’universo materiale non dovrebbe avere una spiegazione visto che tutte le cose materiali ce l’hanno? Dio, invece, è qualcosa di molto diverso dall’universo, e il fatto che sia incausato rientra nella sua definizione. A questo punto Parfit potrebbe dire che anche il comportamento delle particelle elementari (realtà materiali) è in gran parte senza spiegazioni, ovvero casuale. Questo è vero ma è anche vero che considerare la meccanica quantistica come una teoria è alquanto avventato, meglio considerarla come un mero algoritmo per risolvere problemi pragmatici.

Ma torniamo al confronto tra (1) e (2). Perché mai dovrei passare dalla prima ipotesi alla seconda, perché mai dovrei sanare la presenza di un caso tappabuchi perdendo in semplicità?

A mio avviso perché la semplicità deve essere al sevizio della probabilità, e non un valore in sé. La semplicità è importante in quanto indizio di maggior probabilità, quando cessa di essere tale perde gran parte del suo valore. Esempio: postulare che la mente non esista ma esista solo il cervello semplifica la descrizione della realtà. Ma nessuno – a parte i bizzarri “eliminativisti” – adotta questo punto di vista, il motivo è chiaro: per quanto l’ipotesi semplifichi, non ci sembra probabile. Facciamo esperienza tutti i giorni della nostra mente e non siamo disposti a dire che sia una mera illusione. Ancora: il fatto che il colore giallo coincida con una lunghezza d’onda semplifica la descrizione della realtà. Tuttavia, sono in pochi coloro che considerano illusorie le esperienze che abbiamo tutti i giorni con il colore giallo. Per noi il colore giallo esiste. [ avevo indagato la relazione semplicità/probabilità in questo articolo].

Ma se la probabilità domina la semplicità, allora passare dal fatto bruto (1) a Dio (2) è opportuno. Dio riduce le coincidenze (ovvero aumenta le probabilità) al costo di perdere parte della semplicità; tuttavia, se la semplicità è solo un mezzo al servizio della probabilità, questo inconveniente cessa di essere tale.

Per chiudere vorrei solo dire che il concetto di “semplicità” resta comunque piuttosto ambiguo e c’è anche chi mette in discussione che il passaggio da (1) a (2) complichi realmente il quadro. Dio, innanzitutto, è un’entità semplice da descrivere, una mera intelligenza che possiede tutti gli attributi positivi in quantità infinita. L’infinito è molto più semplice del limitato, poiché il limitato implica una descrizione, talvolta estremamente complicata, delle soglie. L’universo pensato senza creatore, d’altro canto, è più complicato di quel che si pensi. Faccio un esempio: come mai lo stagno conserva le sue proprietà di oggi anche domani? Si risponde: perché è così, punto. E il carbone? Perché è così, punto. E la bauxite? Perché è così, punto. Non esiste cioè un singolo sorprendente fatto bruto da assumere ma una miriade. Non potendo generalizzare, devo moltiplicare l’assunzione di “fatti bruti” Ogni singola particella dell’universo richiede un’assunzione ad hoc. L’assunzione di un Dio, per contro, assorbirebbe tutte queste assunzioni che non sarebbero più necessarie: il fatto che esista un ordine nell’universo non sorprenderebbe più nessuno e non richiederebbe spiegazioni in termini casuali. Questo esito assomiglia molto a una semplificazione piuttosto che a una complicazione. Il concetto è che l’universo pensato da solo è inutilmente complicato rispetto all’universo pensato come creato.

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