Ha senso la secessione lombardo-veneta?

Vale la pena di chiedersi quando una secessione sia sensata.

I libertari sono dei grandi fan della secessione, il principio dell’autogoverno li seduce.

Il diritto di secessione, in ottica libertaria, è uno scudo contro le tirannie, compresa quella democratica.

Un buon esempio di secessione libertaria e quello dell’Estonia allorché il paese abbandonò l’Unione Sovietica.

La separazione fu pacifica e l’Estonia intraprese un cammino virtuoso, cosicché possiamo ben dire che oggi è governata molto meglio di prima, anche se una certa precarietà permane.

Quando un impero sta crollando e il suo governo è pessimo, il principio libertario trova un’applicazione sensata.

Tuttavia, il problema dei libertari è quello di porre un limite alla secessione.

Se il Veneto vuole andarsene dall’Italia questo è legittimo ma se Padova volesse andarsene dal Veneto? E se Galzignano volesse andarsene da Padova? Il governo politico di un territorio potrebbe trasformarsi in un caos peggiore rispetto alla situazione di partenza.

Solo un sano pragmatismo puo’ districare la matassa. Ma cosa sia un “sano pragmatismo” lo sa solo un pragmatico, non uno dedito a ragionare sulla secessione.

C’è poi un approccio conservatore alla secessione. A volte un territorio, per motivi legati alla religione, all’etnia, al linguaggio, alla cultura – come per esempio la Scozia o la Catalogna – intende andarsene per la sua strada.

In questi casi non è detto che la nuova entità politica garantisca al suo popolo più libertà e prosperità. In casi del genere è la “diversità” di popolo a legittimare la secessione.

E’ bello che esistano almeno due principi, cosicché le falle dell’uno possano essere tamponate da quanto di solido propone quello concorrente.

In generale potremmo dire che una secessione dovrebbe essere legittima quando conviene ad entrambe le parti, oppure quando esiste un solido accordo tra le parti, come per esempio nel caso della Cecoslovacchia. Ma soprattutto quando i “tempi sono maturi”, con tutta l’ambiguità che porta con sé questa espressione. Il buon secessionista non è un guerrigliero ma qualcuno dedito alla “maturazione dei tempi”.

Occorre pragmatismo, si guardi alla storia e si sviluppi una certa confidenza con i fatti.

Esempio: la secessione americana dell’Impero Britannico è stata legittima?

Le tasse erano piuttosto basse e probabilmente la schiavitù, restando sotto la corona, sarebbe stata abolita prima.

A favore ha giocato la distanza tra i due paesi, le reazioni britanniche agli avvenimenti erano tardive è sempre precarie.

Inoltre, pesa la qualità degli uomini che si posero alla testa del movimento secessionista e che furono decisivi nel presentare al mondo un progetto compiuto e razionale.

Come si vede il giudizio dipende da fattori specifici, difficile delineare principi astratti sempre validi.

Forse il problema è affrontato meglio se lo rendiamo meno radicale: non giova chiedersi secessione-sì/secessione-no, piuttosto secessione-quando.

Non esiste una teoria compiuta della secessione, sia il principio libertario che quello conservatore hanno dei punti di forza e dei punti di debolezza. Non ha senso investire su uno piuttosto che sull’altro, prudenza e saggezza consistono nel confezionare un giusto mix.

In casi del genere il tempismo è tutto. Lombardia, Veneto, Catalogna e Scozia devono saper stare alla finestra senza forzare i tempi, prima o poi capiterà quella coincidenza storica, quell’ errore dei centralisti che consentirà loro di agire in modo pragmatico e nell’ interesse generale.

Il referendum del 22 ottobre è solo un granellino aggiunto agli altri. Quando potremo parlare di “mucchio” ancora nessuno lo sa.

SECESSIONE

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