La carestia delle parole

Felice Cimatti – Naturalmente comunisti – Bruno Mondadori

Il libro è difficile, ve lo dico subito. La densità filosofica dei primi capitoli potrebbe anche scoraggiare il bagnante estivo.

Quel che non si fatica a capire è con chi ce l’ ha:

… gli economisti, oltre ad essere in malafede… sono completamente infettati dal capitale, che letteralmente parla attraverso i loro corpi…

Devo ammettere che fa una certa impressione discorrere con chi ti ritiene “persona infetta” e in malafede.

Chissà se esiste una tecnica particolare per intervistare i pupazzi che hanno il “capitale” come ventriloquo. Anche le “infezioni” richiederanno distanze minime. Sicuramente c’ è una contromisura per tutto, anche se la malafede cronica potrebbe dare qualche grattacapo.

L’ aggressività di Cimatti ha comunque l’ effetto di trasformare in urgenza la lettura del suo libro, qualcuno potrebbe pensare ad un’ oliata tecnica di marketing.

Fortunatamente è altrettanto chiaro sulle tesi propugnate:

… la vita vissuto sotto il sistema economico che chiamiamo capitalismo è innaturale… la vita naturale… è quella che il filosofo Karl Marx chiamava comunismo…

Per il conduttore di fahrenheit, tanto per cominciare, il capitalismo non è solo alienante – questo lo dice anche il Papa, che non si sente un comunista naturale – ma è necessariamente alienante.

L’ uomo, ipnotizzato e reso passivo dallo spettacolo della “merce”, entra totalmente al suo servizio. Non servono moniti per far cessare l’ inganno, qualcuno deve semplicemente spegnere la lanterna magica e farla finita. Solo così intaccheremo la fede più retriva che esista: quella nel denaro.

In secondo luogo, nella società capitalista far soldi diventa che lo si voglia o no un pensiero fisso, cosicché il sistema sviluppa presto una sua impermeabilità a qualsiasi etica.

[… anche all’ etica borghese?…]

Sono affermazioni forti, ma per fortuna testabili: misuriamo se le cose stanno davvero così! Benjamin Friedman, che c’ ha provato, è giunto a conclusioni opposte: la ricchezza innalza lo standard etico e la consapevolezza del soggetto.

Ma Cimatti, almeno inizialmente, le dà per scontate. E’ più interessato a ricostruire le ragioni di un simile sfacelo.

E le ragioni sarebbero biologiche.

Anche per questo, parlando con Vlad, mi ero illuso che considerazioni fatte altrove tornassero buone in questa sede.

Senonché, siamo o non siamo in Europa? E allora rassegniamoci, le cose sono molto più complicate:

… la natura umana è qualcosa di troppo importante per lasciarla solo agli scienziati…

Coerentemente con questa affermazione, passando alla sostanza, la biologia si defila e cede il passo alla filosofia; è lei che dovrà fare sintesi e vedersela con i maledetti economisti!

Anzi, l’ approccio sociobiologico standard diventa presto un nemico da rintuzzare. Wilson e Pinker sono considerati, ma per essere di continuo riveduti e corretti in chiave filosofica.

Cosicché, la natura umana non puo’ essere circoscritta da alcuni istinti tipici, al contrario:

… la natura umana sta nella capacità dell’ uomo di pensare il possibile

Qui la curiosità aumenta, perché se c’ è un sistema che privilegia la speranza – anche sulla felicità – questo è il sistema capitalistico.

Al punto che in passato è finito ripetutamente sotto accusa per i processi di distruzione creativa che innesca, per i stressanti cambiamenti continui che fomenta. Ma in questa requisitoria, sembrerebbe sia chiamato sul banco degli imputati per la palude stagnante e senza prospettive in cui ci costringe a vivere.

Tuttavia, a ben pensarci, forse il comunismo gode in effetti di un privilegio: quello di essere praticamente impossibile da realizzare, e quindi sempre pensabile come possibile in ogni situazione concreta.

Non avete l’ impressione di un leggero capogiro?

Tra le tante che mi lasciano dubbioso, cerco ora rapidamente di venire ad un paio di questioni nevralgiche. La prima è ben colta da chi si pone a questo incrocio.

Sono gli uomini che danno vita a relazioni o è la relazione che dà vita agli uomini?

Sono le parti che fanno il contratto o è il contratto che fa le parti?

Cimatti, sotto l’ egida di Durkheim, rifiuta l’ individualismo metodologico e prende la seconda via.

Io, con Weber, la psicologia evoluzionista, quasi tutte le scienze sociali contemporane e il buon senso, sarei più propenso a prendere la prima. Tuttavia, di fronte a palesi inconvenienti, non mi farei problemi a saltare il fosso.

Ma dove sono i palesi inconvenienti? Li vedo semmai sulla sponda opposta, là dove mi si chiede di approdare.

Ricordo, tanti anni fa, un bel dibattito su questo punto; allora Cimatti avrebbe avuto come formidabile alleato il guru della nuova destra Alain De Benoist. Un caso? Non penso, di sicuro un inconveniente!

[Parentesi: anche l’ antropologia cristiana ondeggia pericolosamente su questo crinale quando comincia a discettare in modo ambiguo sulla distinzione tra individuo e persona. Poi, fortunatamente, ciascuno riconosce che nel giorno del Giudizio staremo a quattr’ occhi di fronte al buon Dio, e così la concezione individualista s’ impone per forza di cose…]

La relazione, il contratto… tutta roba che per essere realizzata ha bisogno di una lingua, ovvero di un bene che noi riceviamo dall’ ambiente. Su questo aspetto il capitalismo, secondo Cimatti, sarebbe cieco:

… la lingua come prodotto di un singolo individuo è un assurdo… ma altrettanto lo è la proprietà privata delle altre risorse (pubbliche)…

Detta così sembrerebbe che Tremonti voglia privatizzare gli aggettivi. Il che effettivamente sarebbe assurdo.

C’ è una bella differenza tra la parola “bicicletta” e la mia bicicletta.

La mia bicicletta è una e, se permetti, la uso io. Visto che se la uso io non la usi tu (e viceversa), urge una regola.

La parola possono usarla tutti, persino in un regime capitalista. Possiamo usarla anche tutti insieme contemporaneamente. Qui non serve una regola che governi le precedenze.

Se alla ruota della fortuna qualche “speculatore” compra una vocale, nessuno si preoccupa della possibile incetta. Ciascuno di noi ha con sé tutte le vocali che gli servono. Non serve un referendum per stabilire che le parole siano gratuite. Il capitalismo è un metodo per affrontare la scarsità, parlando della lingua siamo fuori dal dominio che si pone.

Un altro passaggio stimolante:

… io esisto semplicemente perché, prima di me e senza alcun mio merito, una precedente comunità mi ha fornito i mezzi materiali e linguistici per diventare umano…

Prima osservazione: di sicuro il Cioran che sta leggendo Diana trasformerebbe quel “senza alcun mio merito” in un “senza alcuna mia colpa”!

Ma a parte le considerazioni parossistiche, bisogna riconoscere che l’ ambiente in cui abbiamo vissuto condiziona la nostra personalità.

L’ ambiente ci condiziona per il fatto stesso di esistere, l’ isolamento, in questo senso, è pensabile solo a livello metafisico.

SOBIL

Ma questo comporta forse degli obblighi da parte di qualcuno?

Affinché nasca l’ obbligo, la questione del merito è centrale. A chi va attribuito il merito che io non ho?

Merito e colpa richiedono l’ esistenza di un’ intenzione. Ma il processo evolutivo è cieco, non esiste intenzione, solo fortuna, quindi per i frutti che produce non esistono meriti da premiare né colpe da punire.

Certo, il figlio è riconoscente verso i genitori. Il credente ringrazia Dio. Ma lì è presente un’ intenzione, una provvidenza; invece, dal puro e semplice condizionamento, come potrebbe mai nascere un obbligo giustificabile con la premiazione di un merito?

Comunque sento che presto parleremo di atomismo sociale, speriamo che lo si faccia con le dovute avvertenze.

***

Per ora mi fermo qui. Sebbene gli argomenti non sfavillano quanto le tesi (che grazie alla loro radicalità s’ impongono meglio all’ attenzione), la lettura è stata una buona occasione per ripassare Wilson, Pinker, Chomsky; per rispolverare Hobbes e Durkheim, per riesumare il cadavere di Marx, e anche per scoprire un autore a me sconosciuto: Gehlen.

Sono a metà del quarto capitolo e il libro, perorando un generico comunitarismo, avrebbe potuto intitolarsi anche “Naturalmente fascisti”, ma il quinto e ultimo capitolo (“Comunismo”) forse ha qualcosa da dire in merito. 

***

A conclusione lasciatemi fare una piccola postilla e poi non vi annoio più.

Altrove ci chiedevamo “perché gli intellettuali stanno a sinistra?”; forse perché cause improbabili richiedono argomenti contorti che, se visti sotto una certa luce, sono a loro modo sofisticati.

Chiudendo il libro sento che questa ipotesi viene in qualche modo corroborata.

Eppure nel caso di specie esistono argomenti semplici che scuotono in modo più efficace le mie certezze di apologeta del capitalismo pronto alla conversione.

Eccone uno: l’ uomo (più che egoista, razionale, aperto al possibile…) è fondamentalmente invidioso. Già oggi molti fenomeni riscontrabili nell’ economia di mercato sono spiegati al meglio valorizzando il ruolo dell’ invidia. Perché il neo-comunismo punta così poco sul sentimento verde?

36 pensieri su “La carestia delle parole”

  1. per me è sicuramente troppo difficile, ma pensavo, a proposito del capitalismo che sarebbe contro-natura:
    1) chi glielo dice ai miliardi di cinesi, ora?
    2) ma l’argomento “naturale=bene” non è quello che converrebbe contestare?
    3) l’uso del termine “infettare”, o “infetto” non è da chiesa (malattia, impurità, peccato), cioè non appartiene a un linguaggio da maneggiare con cura? (ma ora anche Vendola ha cominciato a parlare così, si affaccia al video e dice: “Fratelli e sorelle…”)

  2. La “natura umana” di Cimatti è un concetto tutt’ altro che immediato, almeno dopo che ha deciso sul punto di togliere competenze allo scienziato.

    Riprendo la citazione:

    … la natura umana è qualcosa di troppo importante per lasciarla solo agli scienziati…

    Il bello è che in un certo senso sono disposto anche a seguirlo su quella via.

    Ma in una prospettiva un po’ più tradizionale, e allo scopo di consolare i miliardari cinesi, brucio qui un post che avevo in canna. l’ avrei titolato: “Capitalisti nati”!

    Eccolo:

    Bambini e proprietà:

    Rather than being learned from parents, a concept of property rights may automatically grow out of 2- to 3-year-olds’ ideas about bodily rights, such as assuming that another person can’t touch or control one’s body for no reason, Friedman proposed.

    Friedman’s team presented a simple quandary to 40 preschoolers, ages 4 and 5, and to 44 adults. Participants saw an image of a cartoon boy holding a crayon who appeared above the word “user” and a cartoon girl who appeared above the word “owner.” After hearing from an experimenter that the girl wanted her crayon back, volunteers were asked to rule on which cartoon child should get the prized object.
    About 75 percent of 4- and 5-year-olds decided in favor of the owner, versus about 20 percent of adults.

    ***

    p.s. In una nota Cimatti dice di non occuparsi delle tesi religiose sulla natura umana perché, da un punto di vista concettuale, sono assimilabili a quelle della sociobiologia e dell’ evoluzionismo. Non c’ è sostanziale differenza tra chi dice che siamo così perché lo vuole dio o perché lo vuole il caso. In entrambi casi siamo ancora nel solco della tradizione. La tradizione delle teorie comprensibili? 🙂

  3. Quando Cimatti discetta su Hobbes (cap.4 par.1) e la psicologia evoluzionistica sultutti contro tutti (e altrimenti la cooperazione e l’altruismo disinteressati sono forme di azione molto pericolose) introduce, per confutare tali tesi, la variabile tempo. Afferma che Hobbes si contraddice quando ammette la possibilità di un contratto (non relazione sociale) fra gli individui con vantaggi dilazionati nel tempo, pur avendo escluso a priori che le cose future esistano, poichè il futuro non è che una funzione dello spirito.
    Non conosco a fondo Hobbes, ma il fatto che affermi che il futuro sia solo una funzione dello spirito non esclude che l’uomo possa pensarlo, non vedo contraddizione.
    Mi pare un nodo fondamentale del discorso di Cimatti.

    Cmq concordo. Il libro è difficile. Per questo ho continuato a dilazionare l’azzardo di un post.

    Concordo anche col punto 2 di Diana.

    Se gentilmente qualcuno cancella il commento precedente….grazie

  4. Vlad, nell’ espressione: “… tra le tante cose che mi lasciano dubbioso…”, includevo anche le cose di cui parli tu.

    In effetti Cimatti continua a dire che:

    “… come puo’ l’ uomo allo stato di natura tenere conto del futuro?…”

    Oppure:

    “… l’ uomo fuori dalla società umana è come un animale… non ha esperienza del tempo…”

    E perché mai non potrebbe?

    ***

    In realtà non è convincente nemmeno quando, facendo appello all’ autorità di Wittgenstein, si nega la possibilità che il singolo possa parlare una lingua senza relazionarsi.

    E Robinson Crusoe?

    ***

    Avevo tralasciato questi problemi perché un po’ troppo esoterici e nemmeno poi così decisivi per comprendere le tesi.

    ***

    A volte sembra che uno osservi la vita quotidiana con un certo scontento. Nota come le persone tendano a vivere nel loro guscio, come sia difficile creare una convivialità tra le persone. Come ci si consoli facendo shopping. Qualcosa non va. Ci si abbandona ai ricordi d’ infanzia evocando chissà quali intimità col nostro prossimo.

    Tutte osservazioni e debolezze comprensibili. Se parlo di “pericolo atomista”, chiunque capisce. In effetti uno è portato a pensare a quanto poco conosce il suo vicino; a come la nonna invece conosceva tutto il paese.

    Anche la spiegazione economica è facilmente comprensibile (vedi il mio link sull’ atomismo)

    Poi però si vuole dare una veste filosofica a questo pericolo e si finisce per diventare ostici (quando non esoterici) e iperbolici.

    Specie se si è portati a dare credito alla filosofia francese.

    ***

    Parlando di “osticità”, non faccio solo una constatazione ma anche un’ osservazione critica.

    Recentemente, con Derek Parfit abbiamo affrontato lo stesso argomento incontrato in hobbes, quello dell’ egoista altruista.

    Parfit non è autore da spiaggia, ma le difficoltà della lettura si presentano per la profondità della sua speculazione. Mi spiego meglio.

    Ogni sua affermazione è semplice, trasparente e si aggancia bene con la precedente e la successiva. Sei a tuo agio ad ogni pagina. Detto questo, spingendo molto in là la speculazione, rischi sempre di perderti. Ma se hai energie sufficienti e voglia, puoi sempre riprendere il bandolo!

    Qui è un po’ diverso. Di punto in bianco ti viene posta innanzi un’ affermazione esoterica, esempio: “com’ è possibile che l’ uomo possa tener conto del futuro in queste condizioni?”, io e vlad brancoliamo, e non abbiamo un vero aiuto, una catena di deduzioni da risalire, anche se abbiamo voglia di capire.

  5. Diana, Vlad, vi assilla il punto 2? ma allora Cimatti vi darà delle soddisfazioni: per lui la natura umana è infinitamente flessibile. Dietro tanta biologia, in questi scritti cova in realtà la classica posizione culturalista.

    Un uomo puo’ diventare donna e viceversa, un bambino e un adulto possono scambiarsi i ruoli. Tutto si puo’ fare, basta che la comunità lo voglia.

    Una flessibilità del genere serve a concludere che persino il comunismo è possibile.

    Tutto cio’ ci riporta all’ ultimo capitolo. L’ ho ultimato da poco ed è inutile faccia un altro post, riporto qui qualche considerazione.

    Ripeto solo un concetto importante, non bisogna impressionarsi quando Cimatti parla di “biologia” (o natura). E’ un semplice rinvio al concetto di “necessità”.

    Ai tempi di Marx andava di moda la Storia e si parlava di necessità storica. Oggi va di moda la scienza e si parla di necessità biologica.

    Non farlo ti emarginerebbe ancora di più dalla comunità dei filosofi, e questo è un libro che già emargina parecchio il suo autore.

    Veniamo al capitolo finale del libro.

    ***1

    Si comincia dicendo che il comunismo è un’ utopia, anzi, è l’ utopia per eccellenza. Ma poiché la natura umana è infinitamente flessibile e sempre proiettata verso il possibile, cio’ fa del comunismo lo sbocco naturale dell’ agire umano.

    Il comunismo è sempre oltre rispetto a cio’ che si realizza, è dunque sempre nella categoria del possibile. D’ altro canto non è mai impossibile visto che la natura umana puo’ sempre modificarsi coevolvendo con l’ ambiente che trasforma.

    Capito? Ebbene, io non sono un pragmatista, ma qui rimpiango un po’ del sano pragmatismo di diana.

    ***2

    Si lavora per consumare (1) o si consuma per lavorare (2)?

    Cimatti, da buon marxista, prende (2): il lavoro è l’ essenza dell’ uomo (attenzione, lui non direbbe mai essenza).

    Altra domanda: che bisogno soddisfa l’ “oggetto lavorato”?

    Noi pensiamo subito al consumatore. Ma questo solo perché il capitale parla attraverso i nostri corpi! In realtà il lavoratore va messo davanti a tutto.

    L’ oggetto lavorato soddisfa i bisogni… del lavoratore!

    Tutto questo ci sembra il mondo gambe all’ aria. Sono idee strane e, semmai, molto remote; ma pensiamo solo all’ incipit della nostra Costituzione e all’ area culturale da cui proveniva chi l’ ha redatto! 

    Poiché l’ alienazione si realizza quando s’ invertono i mezzi con i fini, e considerata la catena causale ipotizzata dal marxismo, si capisce meglio perché Cimatti reputi il capitalismo un sistema alienante: lì ci sono dei lavoratori che producono per soddisfare le esigenze dei consumatori, tutto il contrario di quanto afferma l’ ideologia!

    ***3

    Come si giunge a stimare il valore oggettivo di un bene?

    Cimatti rispolvera la vetusta teoria del valore-lavoro (v/l): un bene vale per il lavoro che incorpora.

    Questa teoria ha un inconveniente: ammettiamo che io dopo lunghi studi, intraprenda lo scavo in giardino un buco profondissimo che successivamente, come progettato, mi affretterò a ricoprire.

    Conseguenze: io affaticato ma creativamente soddisfatto; mia mamma incazzata come una iena.

    Secondo la teoria v/l, il sudore speso sulle carte e quello versato al badile danno alla mia opera un enorme valore oggettivo che qualcuno dovrà pur ricompensare.

    Insomma, la teoria v/l non sembra in grado di distinguere tra gioco e lavoro.

    Lo dico rispettosamente, ma a me questo sembra un inconveniente non da poco. E a voi?

    In realtà, siccome i marxisti vivono sulla terra, la distinzione la fanno e al lavoro/giocoso contrappongono il cosiddetto lavoro salariato, che considerano alla stregua del diavolo in terra.

    [… nella storia del pensiero la teoria v/l fu spazzata via dal cosiddetto marginalismo… tornare a parlarne è un po’ come vedere girare nel traffico la vecchia cinquecento…]

    ***4

    Conclusioni: 1. l’ uomo è sempre proiettato verso il possibile e verso la creatività, 2. il fine della vita umana sta nel lavoro; 3. il comunismo valorizza al meglio il lavoro creativo (gioco) poiché, grazie a v/l, non lo vincola alle esigenze altrui; 4. inoltre, per quanto improbabile, il comunismo non è impossibile data la natura infinitamente flessibile dell’ uomo. Quindi: 5. il comunismo realizza al meglio la natura dell’ uomo.

    Con uno sforzo non da poco posso comprare 1. Non chiedetemi di più.

    Il resto non me lo faccio rifilare neanche in stagione di saldi ideologici.

    lo so, magari Cimatti ha ragione, attraverso il mio corpo parla il Capitale.

    Ma al momento il suo esorcismo non ha dato i frutti sperati. O forse sono un caso disperato di malafede.

     

  6. infatti, evoluzionisticamente parlando, il fatto che un modello di sviluppo sia naufragato sul mercato dei modelli di sviluppo, non è un fatto significativo? certo, la storia non finisce oggi, e staremo a vedere, ma per il momento mi pare che la “natura” vada in un’altra direzione, per contagio, certo. Come il meme o robe del genere.

    Certo, introducendo l’elemento “infezione” (capitalismo=malattia) il problema sembra risolversi: la pianta era sana e procedeva nelal direzione ‘naturalmente comunista’, ma si è presa l’aviaria del capitale, e ora bisognerà aspettare almeno un altro secolo prima di stare tutti meglio. Magari è così. Da praticona pragmatista osservo i fatti e per il momento sarei prudente.

    Concludo solo dicendo che non ho letto il libro, le mie sono poco più che impressioni sulla versione di barney di ric.

  7. tornare a parlarne è un po’ come vedere girare nel traffico la vecchia cinquecento…

    In realtà ho avuto anch’io un’impressione del genere per tutto l’ultimo capitolo. Questo non comporta necessariamente che la cinquecento funzioni male, però, una sensazione di stantio permane.
    Si potrebbe mettere così: ciascuno dovrebbe fare il lavoro che più gli piace e che non sia un gioco. Resta il nodo di certi lavori che nessuno vorrebbe fare, tipo spurgo pozzi neri e roba simile. Non mi dica Cimatti che a farli dovrebbero essere ancora gli extracomunitari.
    E il lazzarone che fa? ozia vita natural durante perchè è un valore?

  8. Un paio di giorni fa c’è stata una telefonata surreale a primapagina. Un tale che contestava il nostro modello di sviluppo. Ok, effettivamente sta dando segni di usura. La democrazia rappresentativa all’italiana ormai non rappresenta più nessuno, e questo è un dato di fatto.
    Ma quali modelli alternativi possiamo proporre? Alla conduttrice che gli chiede “ma a quale modello si riferisce, al capitalismo”? Costui risponde: sì. “E quali alternative propone? Il socialismo reale?”. Ancora risposta affermativa, e via di discettazioni sulla bontà del modello marxista originale.

    Pare che si stia tornando a non vergognarsi più di dirsi “marxisti”, “comunisti”, “fascisti”, e via di abomini vari. Credo che questo sia un frutto bacato del berlusconismo, che ha tirato troppo la corda. Il recente referendum credo sia stato un pessimo segnale in questo senso.

  9. Vlad:

    … si potrebbe mettere così: ciascuno dovrebbe fare il lavoro che più gli piace e che non sia un gioco…

    E perché mai non dovrebbe essere un gioco?

    Forse perché altrimenti sconfineremmo nell’ utopia?

    Ma con il concetto di natura umana infinitamente flessibile grazie alla coevoluzione, non esiste utopia.

    Costruendo l’ uomo nuovo tutto sarà possibile (Cimatti scrive sul Manifesto, giornale che abbandonò l’ URSS per finire nelle braccia di Mao sedotto dalla rivoluzione culturale).

    Tutto questo è distante? Meglio… il possibile è sempre superiore al reale.

    Tutto questo è costoso? Il concetto di “costo” è da imputare alla congiura degli economisti classici.

    ***

    Davide, sul punto sono d’ accordo con il Perotti quando segnala gli errori di calcolo dell’ economist che accusa Berlusconi. Conclude poi, non con un’ assoluzione, ma dicendo:

    … dunque la vera eredità negativa di Berlusconi non è stata l’economia… ma l’ aver riportato indietro il dibattito sociale di trent’anni. Berlusconi ha confermato e anzi rafforzato l’avversione che la maggioranza degli italiani, di destra e di sinistra, prova istintivamente per il mercato. Ha rafforzato l’innata convinzione di molti che tutte le riforme siano una congiura dei ricchi contro i poveri…

  10. Chissà che un’ introduzione del genere possa servire come boccone pre-masticato per i temerari che vogliono affrontare la lettura. Limitandosi alla parte distruttiva si rimane nell’ intelleggibile:

     

  11. sto vedendo il video. Fantastico. Non so cosa significhi da un punto filosofico o ideologico, ma mi riconosco totalmente nei primi tre puntii dove parla delle reazioni di un individuo di fronte a una grande offerta di scelte. Ansia, insicurezza, paralisi – e quando proprio riesco a scegliere perché devo: senso di perdita e insoddisfazione. Io nel ramo consumi sono così. Infatti non compro quasi niente. L’ideale: entrare in un negozio di calzature (per es.) dove hanno solo cinque paia di scarpe, al massimo. Possibilmente tutte dello stesso colore. Ogni mese un colore. Anche per l’aspetto economico: benché non ricca, preferisco comprare nel solito supermercato, o buzzichetto, che ho imparato a conoscere. Difficilmente cambio. Tra risparmiare dieci o venti euro a settimana, e ridurre i livelli di ansia prodotti dal nuovo e da nuove offerte tra cui scegliere, scelgo questa seconda opzione, cioè il comfort e la semplificazione.

    Però non so quanto io sia rappresentativa. E comunque, se per altri scegliere tra sconfinate opzioni (anche economiche) è la soluzione ideale, voglio che possano farlo. Non mi disturba affatto e non credo di riceverne un danno.

  12. Ti dirò, se devo comprare un maglione, io vado al bar, la Sara in negozio: mi chiama al cellulare solo quando si disputano i play off! Ovvero, quando la scelta è ristretta a due/tre esemplari.

    Quindi, ti capisco. In genere non voglio avere a che fare con le scelte.

    In passato (prima di conoscere la Sara) ero anche un fautore del matrimonio indiano quello in cui i genitori scelgono peri figli. Facevo anche delle reprimende ad alto volume rivolte a mia mamma (sbigottita, lei quando si sbigottisce ride) per la sua deprecabile passività!

    Però distinguerei.

    *** scelta come rischio

    Tutti noi – chi più chi meno, le donne più degli uomini – siamo avversi al rischio, quindi soffriamo le scelte.

    Se però mi guardo dentro, mi accorgo che in certi campi (quelli che più mi appassionano) la scelta è una ragione di vita: l’ attendo con trepidazione assaporandone ogni istante.

    Falkenstein conferma: in borsa di solito ci si fa pagare per sopportare dei rischi, ma poi, non si sa come mai, pur di investire su certi titoli particolarmente rischiosi, si paga. La speranza trasforma l’ avversione al rischio in una propensione.

    Anche gli psicologi concordano: dietro una felicità c’ è quasi sempre una libera scelta con la quale ci realizziamo.

    Distinguerei quindi gli ambiti prediletti da quelli indifferenti. Sia l’ opzione gregge che quella dado sono a disposizione per neutralizzare lo stress da scelta nel secondo ambito.

    *** scelta come discriminazione

    Quando scegliamo ci differenziamo. Per l’ invidioso è un problema.

    In più lo facciamo consapevolmente, quindi attiriamo il giudizio altrui, il che amplifica il fastidio dell’ invidioso.

    Se la natura umana risiede nell’ invidia (il che non è da escludere), limitare la libera scelta puo’ essere produttivo.

    E’ la conclusione del mio post: perché i nuovi profeti del comunismo non puntano di più sull’ invidia?!

    Invece, dopo aver posto le premesse, ci si perde in speculazioni sull’ alienazione, la falsa coscienza ed altri esoterismi assortiti.

  13. sSulla scelta come rinuncia paralizzante, Vallauri dixit (Castelli in aria, prima serie, puntata 2: Le scelte difficili)

    (…) Oppure, se stiamo con Guendalina, probabilmente Maria è una cosa a cui dobbiamo rinunciare: non sempre, ma spesso avviene così. Insomma, la ragione per cui una scelta sembra drammatica non è che ciò che sceglieremo rischia di essere nettamente peggiore di ciò che scartiamo; molto spesso è solo nel fatto che ci pesa la rinuncia. Il male che noi vediamo nel fare l’architetto non è che facendo l’architetto staremo peggio che nel fare il cardiologo, è che nel momento in cui ci figuriamo la decisione noi dobbiamo accettare il peso di rinunciare al cardiologo.
    Bene, questo peso può essere diluito rendendosi conto che Non il cardiologo è anche Non l’avvocato, Non il sommozzatore, Non il terrorista, Non il salumiere, eccetera eccetera. Quando ci rendiamo conto di questo, la scelta si stempera. E soprattutto, è utile rendersi conto che la rinuncia è inevitabile: ci sarà, di identica portata, sia che scegliamo l’architetto, sia che scegliamo il cardiologo. Non c’è una scelta che comporterà rinuncia minore; e quindi non c’è una scelta sbagliata, ma solo due scelte ugualmente giuste. Il male della rinuncia non sarà conseguenza di un nostro eventuale errore, ma è insito nella condizione umana e noi non possiamo farci niente. Non possiamo cancellarlo con la scelta “giusta”. Capire questo rende meno grave il problema della scelta. Non dobbiamo lasciare che il dolore della rinuncia ci faccia apparire drammatica la condizione di scelta, perché quel dolore è imparzialmente presente in ogni opzione.

    Una scelta (o una rinuncia), in fondo, vale l’altra.

    1. oppure, sintetizzato in his own words:

      E se si rivela una sòla?
      Si potrebbe benissimo lanciare una monetina
      – un mannello vale l’altro.

  14. Cari letto (amici?),
    Sono sinceramente ammirato, e grato, questa è una letttura di un libro, che propone una tesi del tutto inattuale, ma una tesi spero argomentata. Le uniche reazioni che ho avuto a questo libro sono state di persone, come voi, che da una posizione completamente diversa vogliono ribadire la loro contrarietà a queste idee. Dalla mia parte (per modo di dire, ci siamo capiti) solo silenzio, e non perché le critichino, queste idee, semplicemente perché non ne hanno. Dire che ci vuole capitalismo e regole è una ovvietà stupida, smentita tutti i giorni dai fatti, però non costa nulla, non vuol dire nulla, e nessuno ti può accusare di essere troppo radicale. Il weltronismo che mette nella stessa lista Calearo e l’operaio ustionato a Torino, appunto, il niente pieno di buone intenzioni. Ha ragione chi ha detto che questo libro emargina, perchè il sistema intellettuale di questo paese è fatto così, non è il caso di prendere davvero posizione, meglio relegarsi in innocue ricerche di storia della filosofia, oppure trasformare la filosofia in lavoro specialistico che non interessa nessuno a parte i quattro o cinque che se ne occupano. Questo è un libro che dice che “comunismo” è un concetto importante, utile per immaginare vie d’uscita dalla situazione attuale, e secondo me qualcono in giro (vedi i referendum) già se n’è accorto.
    Un solo punto di merito, prendo la lingua come esempio di bene comune, che non è né può essere espropriata, perché altrimenti cessa subito d’essere una lingua (Robinson Crusoe non c’entra nulla, scusate, è uno che dopo aver imparato a parlare dagli altri è rimasto solo, non si è mica inventato la lingua che parla da solo). La mia idea, biologica, appunto, è che come la lingua sono anche i beni comuni. E poi il lavoro, non ho capito bene la critica, ma per me e per Maarx lavoro vuol dire creatività, quindi anche gioco, libertà, soddisfazione. Non so voi, ma io sono circondato da amici e conoscenti che fanno lavori stupidi, in cui non mettono nulla di loro, che richiedono un a frazione del loro impegno e della loro passione. Desiderare per tutti un lavoro in qualche misura creativo vi sembra così astratto e sbagliato? Un ultimo punto, per me comumismo significa libertà estrema, qui il giro si chiude, e si arriva al liberismo. Come non bisogna confondere il cristianesimo come le torture dell’Inquisizione, così vi prego di non confondere comunismo con URSS; ma nemmeno capitalismo con le fabbriche di pallonin in Asia che rendono ciechi e artritici bambini. Almeno su questo siamo d’accordo?
    grazie ancora

    felice cimatti

    1. Caro Felice,
      Ci inviti a non confondere comunismo e URSS. Non non abbiamo difficoltà a distinguere l’inquisizione (della quale abbiamo letto più leggende nere che cronache fattuali) dal cristianesimo. Nemmeno a distinguere il capitalismo dagli abomini che citi sui bambini (che incidentalmente non vivono in società capitaliste, ma nella povertà di cui si nutrono regimi formalmente anticapitalisti).

      Invece, distinguere il comunismo dall’URSS ci risulta più complicato. Poiché le idee di Marx hanno contagiato nel secolo scorso metà mondo in tutti i continenti (forse Oceania esclusa), ti chiederei di aiutarci in questo compito indicandoci qualche realizzazione storica delle idee marxiste che non sia degenerata in autoritarismo violento repressione della libertà di opinione. Purtroppo sotto quei regimi nemmeno il linguaggio era (è) patrimonio comune: l’istituzionalizzazione della delazione (“intercettateci tutti”), la censura e il controllo dell’informazione privano il cittadino persino di quella proprietà. E se questo riusciva nella DDR di metà novecento, chissà a cosa si arriverebbe con gli strumenti tecnologici di oggi.

      Orwell si è concretizzato in questo referendum, dove la subdola manipolazione delle teste ha raggiunto livelli mai visti prima, creando un’illusione di libertà mentre di libero non c’è stato nulla. E pensare che questo è avvenuto in regime di democrazia! Tutto ciò dovrebbe terrorizzarci, invece sembra che se ne rendano conto assai pochi!

  15. Mi sa che hai sbagliato ramo, Felice.

    Se volevi stare al centro dovevi buttarti sul neo-puritanesimo antidiscriminatorio. Tira un casino (chiedi alla tua compagna di banco Lipperini).

    Alle manifestazioni che hanno come parola d’ ordine il biolinguismo non viene mai nessuno!

    Oltretutto le tue tesi mi sembrano un tantinello radicali per il essere politicamente palatabili. L’ elettore mediano è affetto da status quo bias, ormai lo sa anche lo spin doctor dei consiglieri comunali.

    Se fossi un politico… mi vengono in mente… hai presente quei politici di opposizione con cui Emilio Fede stipa il suo TG?

    In un certo senso sono intellettualmente troppo onesti perché, in una democrazia, non finiscano con il tirare l’ acqua al mulino dell’ avversario.

    Auguri, e dicci qualcosa sulla tua prossima fatica. Noi ti seguiamo (arrancando).

    p.s. il Robinson a cui ci si riferisce non è quello di Defoe, ma quello del primo capitolo dei manuali di economia (una specie di Tarzan delle scimmie che, per conto suo, attraverso un algoritmo riesce a calcolare l’ intervallo tra un passaggio e l’ altro delle capre a cui tende l’ agguato). Oppure quello del capitolo sul time inconsistency (un tale che, volendo ora quel che domani sa già non vorrà più, si accorge di dover agire e ragionare come se in lui esistessero più persone – “una sola moltitudine” direbbe Pessoa).

  16. …ma nemmeno capitalismo con le fabbriche di pallonin in Asia che rendono ciechi e artritici bambini.

    salve, Felice. Io non ho letto il tuo libro (forse è meglio se comincio da quello sulla mente degli animali…), ma a proposito di questa tua affermazione volevo dirti che broncobilli fu l’iniziatore di un memorabile thread sul forum di fahre, intitolato “W il lavoro minorile”. All’epoca sbaragliò tutti i concorrenti, e lo ritengo in grado di dimostrarti che ciechi e artritici è bello, o comunque meglio che morti.

  17. Diana.

    Il costo opportunità (costo della rinuncia), essendo un concetto razionale, non spiega tanto perché uno è a disagio quando sceglie.

    Anzi, spiega il fatto che, dal punto di vista razionale, è sempre meglio avere una scelta che non averla.

    Per spiegare il disagio bisogna ripiegare sulla psicologia. Per esempio, bisogna supporre che perdere qualcosa incide in negativo più di quanto incida in positivo guadagnare quella stessa cosa.

    Davide.

    L’ unica interessante (e umana) realizzazione del comunismo è stata quella dei Kibbutz israeliani. Lì potevi entrare volontariamente e vivere in una società comunista. Potevi anche uscire quando lo desideravi.

    In quanti si prestarono (mediamente) a quel genere di vita? Ai tempi d’ oro circa il 5% della popolazione.

    p.s. ma perché i tuoi commenti finiscono sempre in posizioni strane?

    p.s. sul lavoro minorile nel mondo e sui guai procurati delle soluzioni ingenue, ecco una fonte di riferimento (Banca Mondiale).

    1. Ho scritto ieri con il telefono dalla spiaggia al lago, usando l’app di WordPress, replicando all’intervento di Cimatti. Comunque anche dal sito, se clicchi su “replica” la risposta resta legata al commento su cui hai cliccato.
      E’ vero, i kibbutz sono interessanti, ma anche “lunari”. Sono oasi fuori dal mondo. Esportarne il modello ad una realtà più “normale” è impensabile, tanto che nemmeno in Israele ci hanno provato. A questa stregua potremmo considerare i monasteri medievali come modello di comunismo realizzato.

  18. magari Patri Friedman, sulle sue piattaforme oceaniche farà qualcosa di simile: su una piattaforma il modello kibbutz, su un’altra l’anarcocapitalismo, su un’altra ancora lo statalismo più sfrenato. Io creerò la piattaforma Montessori, nel Mediterraneo però, con tutti gli interruttori e i lavandini e tutto il resto ad altezza e in scala mia.

    mio cugino andò a vivere in un kibbutz, a 18 anni, ma durò poco.

  19. In vent’anni la produzione agricola dei kibbutz è aumentata del 400%, fenomeno sconosciuto anche nei paesi con economie agricole molto sviluppate (come gli Stati Uniti). C’è, evidentemente, un rapporto positivo tra l’età di un kibbutz, la sua stabilità e crescita di popolazione e la misura della crescita naturale degli abitanti per effetto della natalità. Il movimento dei kibbutz ha uno dei tassi di natalità più alti in tutto lo stato di Israele. (Avraham Yassour)
    http://www.socialismolibertario.it/kibbutz.htm

    Caspita.

  20. Felice (chissà se interverrai ancora), come la mettiamo con lavori che, oggettivamente, sono spiacevoli? E’ vero che tu sei tutt’altro che un propugnatore dell’arcaismo agreste, quindi immagino risolveresti il problema con i mirabilanti progressi della tecnologia. Continuo a pensare che con tutta la buona volontà qualche lavoro che non sia gioco o creatività o non accenda passione rimanga cmq.

    Bronco.
    estremamente interessanti i kibbutz. Non so quanto riuscissero ad essere autosufficienti (in rete, non presi singolarmente) o sopravvivessero invece grazie al foraggio pecuniario che veniva dagli ebrei dei paesi capitalisti. C’erano miei amici che ogni estate ci passavano le vacanze: di solito l’aspetto positivo riportato da tutti era la promioscuità sessuale. Con questo miraggio mi avevano pure proposto di andare a viverci (non loro, ma altri che ci stavano di casa): acc…avrei dovuto sottopormi alla circoncisione?

  21. …di solito l’aspetto positivo riportato da tutti era la promioscuità sessuale. Con questo miraggio mi avevano pure proposto di andare a viverci (non loro, ma altri che ci stavano di casa)…

    ahahahaha! cioè, un’alternativa al viaggio in Svezia in 2 cavalli? Certo che ci facciamo sempre riconoscere.

  22. Promiscuità sessuale? Non so quanto sia attendibile, ma qui si parla piuttosto di violenze sessuali e abusi fisici e psicologici sui bambini. Magari è solo propaganda…

  23. ora leggo, davide, anche se sai come la penso – al di là della propaganda: dovunque ci siano bambini aiffdati ad adulti, l’abuso è un’eventualità possibile e avviene. Non mi stupirebbe affatto ceh valesse anche per i kibbuz.. Se ne parla a proposito dei monasteri buddhisti come dei collegi cattolici, di scientology come dell’islam. E’ trasversale.

  24. gIà, viaggio in 2 cavalli in svezia.
    Diana, sempre lì a semplificar le cose. Ti sto parlando di ragazzi italiani di religione ebraica che ci passavano le vacanze xchè i genitori ci credevano (e foraggiavano il sistema). E quelli che m’han proposto il trasferimento definitivo erano di nazionalità israeliana.

  25. ah. scusa. Be’, ma poi erano promiscui davvero? Devo documentarmi sui kibbutz. Soprattutto, quando rivedo mio cugino chiederò a lui.
    Comunque esperienze interessanti.

  26. Davide, molto interessante – e terribile – il tuo link. Una storia che ricorda molto da vicino quest’altra.

    Il commento del coordinatore del movimento dei kibbutz:
    Gavri Bar Gil, executive director of the Kibbutz Movement, is horrified by the revelations (…) “We have to reform ourselves . . . we have to recognise that we have been closed societies for many years and that anything could be covered up”.

    Senz’altro. Una dichiarazione che sarebbe stata perfetta anche per le nostre gerarchie ecclesiastiche, al momento giusto. Cioè anni fa, quando la realtà degli abusi è cominciata a emergere.

    1. No, non credo che il paragone regga. Ci sono stati abusi su minori da parte di alcuni consacrati. Ci sono state reazioni inadeguate e coperture dall’alto. Questo è documentato. Ma si è trattato di episodi sporadici e individuali. Qui si parla di società che sistematicamente separano i bambini dai genitori, facendone membri della “comune” prima che della famiglia. Il che, tra l’altro, mi ricorda alcuni tratti, sull’impostazione del sistema educativo, che accomunano fascismo e comunismo. Questo è il dato da cui partire. Magari gli abusi psicologici non ci sono, magari una società impostata in questo modo può funzionare.

      Per i miei figli però preferirsco l’impostazione della nostra democrazia capitalista.

  27. il paragone l’ho fatto tra scientology e i kibbutz, o meglio tra quei due casi.
    il paragone con la chiesa cattolica riguarda le coperture – funzionano sempre così.
    Il problema è nelle “closed societies”. E purtroppo – e/o per fortuna – la famiglia è una di queste.

    Il regime del kibbutz in cui è cresciuto l’uomo del tuo articolo (poi sostenutop da altre testimonianze) mi fa tornare alla mente l’infanzia di Lars Von Trier, e la comunità “virtuosa” di Dogville. Isolata, e piena di ‘buone intenzioni’ di cui come al solito sono lastricati tutti gli inferni.

  28. Vlad ti rispondo io: i lavori sgradevoli vengono ripartiti equamente.

    Un primo problema inclina il sogno: mancando gli incentivi che spingono verso i lavori utili, si rischia di passare la giornata a realizzare la propria quota di “lavoro sgradevole” e le poche ore che avanzano (se avanzano) si dedicano al lavoro creativo. Ovvero al gioco. Il che non cambierebbe di molto la situazione attuale.

    Un secondo problema lo annichilisce: se uno è esentato dal trovarsi la committenza, non esiste un mercato e non esistono i prezzi. O meglio, il mercato si trasferisce sulla scrivania di un burocrate richiesto di compiti sovrumani.

    Il comunismo, quando non è sfociato nelle crudeltà necessarie per costruire l’ uomo nuovo, è puntualmente sfociato nell’ asfittica palude burocratica.

    ***

    Quello del Kibbutz è un comunismo lilliputziano. Ancora un passo e siamo alle cooperative nostrane. Se campa in qualche modo (ma oggi esistono ancora? Se sì sono sempre più ridotti), forse è anche per quello.

    Non si capisce poi se la presenza dei kibbutz prosperi giovi di più alla causa del socialismo o a quella del capitalismo.

    Chi difende la seconda potrebbe far notare una splendida virtù del capitalismo: è compatibile con forme di socialismo!

    Al contrario, il socialismo, difficilmente tollera enclave capitaliste. la bestia nera della Cina, e forse la causa del suo cedimento, è sempre stata Hong Kong!

    1. ammazza, ma come, Den Xiao Ping l’ha benedetto in casa, il capitalismo! E convivono alla grande, pare.

  29. Diana, ho parlato di enclave, non di forme miste!

    L’ enclave propone un confronto, la mistura è qualcosa d’ inestricabile che rende lecito ogni commento.

    Deng ha iniziato a stemperare il comunismo più ortodosso proprio sotto la pressione dell’ implacabile confronto con la fastidiosa enclave di Hong Kong, che era un pezzo di Occidente alle porte di casa. Se avesse potuto avrebbe spatasciato quel maledetto moschino.

    Non ci fosse stato l’ imbarazzante paragone, forse la storia avrebbe avuto un corso diverso. Lo sa bene il comunista ortodosso che, pragmaticamente, fa di tutto per eliminare l’ inconveniente alla base.

    Anche il comunismo sovietico era in imbarazzo se trapelavano notizie del ricco Occidente.

    D’ altronde, perché mai la Corea del Nord o la Birmania dovrebbero tagliarsi fuori dal mondo con tanto zelo? Sono forse popolazioni asociali? Non direi.

    Il capitalismo, per contro, non è certo in imbarazzo per il fatto che esistano e prosperino le cooperative o i kibbutz. Non sente l’ esigenza di una conversione o di una revisione del modello per questo semplice fatto.

    [… anche perchè, dei kibbutz abbiamo già detto, e una cooperativa non sarà mai efficiente come una spa…]

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