La mia etica

Da una combinazione di senso comune e razionalità si forma l’ etica a cui mi sento più vicino.

Come procedere per farla emergere?

1) Prendi un caso concreto in cui s’ imponga come evidente una soluzione etica, chiediti perché proprio quella soluzione sia la più sensata e cerca di trarne un principio etico generale.

2) Dopodiché testa il principio così ricavato applicandolo anche a fattispecie diverse.

3) In caso di inapplicabilità verifica cosa osta, isola le contraddizioni che ti bloccano e stabilisci priorità ed eccezioni in grado di risolvere il caso.

E’ un’ etica intuitiva poiché i giudizi in 1) e 3) discendono da intuizioni legate al buon senso.

E’ un’ etica razionale perché le valutazioni richieste in 2) e 3) richiedono un “calcolo” delle conseguenze particolarmente rigoroso. In particolare si richiede di non discriminare tra danni astratti e danni concreti.

E’ un’ etica con una componente emozionale visto che disgusto e ripugnanza legittimano il respingimento del principio generale.

E’ un’ etica aperta perché puo’ essere integrata da precetti emotivi (vedi ultimo paragrafo.

E’ un’ etica realista poiché si crede nell’ esistenza reale, e non soggettiva, di principi etici.

E’ un’ etica senza soluzioni precotte e definitive poiché il singolo test puo’ condurci ad abbandonare nel caso specifico il principio generale. Esempio: posso individuare il principio per cui non bisogna interferire nelle scelte altrui qualora non rechino danno ad altri ma se certi comportamenti producono rischi di danno insostenibili a terzi posso intervenire stabilendo un’ eccezione.

Non è comunque un’ etica relativista poiché si crede nell’ esistenza di principi invarianti verso cui tendere. Si tratta di principi difficili da acquisire ma alla cui esistenza, ripeto, si crede. Si crede soprattutto che procedendo nei termini descritti ci si approssimi ad una verità etica.

E’ un’ etica non utilitarista poiché impegna il buon senso e in questo modo si eludono talune assurdità utilitariste.

E’ un’ etica non-naturalista, in questo modo si elude il paradigma auto-rimuovente tipico delle etiche naturaliste.

Questa etica – che è stata definita come “intuizionista” – è bersaglio di molte critiche, ma una spicca sulle altre, c’ è infatti chi la ritiene arbitraria visto che ognuno avrebbe le sue intuizioni.

Ma ne siamo poi così sicuri? Forse non è proprio così, almeno se parliamo delle intuizioni fondamentali. Il fatto che molti siano particolarmente pronti a fare eccezioni e ad applicare un doppio standard non significa che le nostre intuizioni di fondo siano arbitrarie. D’ altronde quando l’ eccezione non è più “eccezione”, allora diventa contraddizione e si esce così dall’ etica proposta.

Certo, l’ introspezione personale (esame di coscienza) giocherebbe un ruolo notevole, ma un’ introspezione autentica porta ad individuare e correggere molti errori derivanti da intuizioni superficiali. Il fatto che esistano errori e che esista la possibilità di correggerli è un buon argomento contro l’ ipotesi dell’ arbitrio diffuso.

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A questo punto devo ammettere di aver descritto finora una meta-etica piuttosto che un’ etica vera e propria, di aver delineato cioé un metodo più che una dottrina. Cerco di rimediare enunciando alcuni principi concreti. Poiché simpatizzo per un’ etica borghese, potrei allora parlare del doveroso “rispetto per la proprietà altrui” o della doverosa “lealtà” ma forse esiste un principio più sofisticato che definirei meritocratico e sintetizzerei così: “ad ogni individuo spetta un compenso materiale in relazione alla ricchezza che produce nella comunità. Il marginalismo e il sistema dei prezzi sono i metodi più pratici per misurare sia il contributo che il compenso di ciascuno”. Una specie di meritocrazia in cui il ruolo fondamentale per attribuire i meriti spetti al mercato e alla competizione.

Un principio del genere è realista (contro il contrattualismo).

Un principio del genere è compatibile con una società di mercato, anzi, la richiede.

[… I principi etici prescelti si riverberano poi nelle scelte politiche. Un diritto di proprietà naturale è incompatibile con lo stato e con le tasse, tuttavia l’ esperienza ci insegna che senza uno stato minimo il diritto di proprietà è messo a repentaglio. Forse lo stato minimo è proprio una delle eccezioni necessarie a cui accennavo più sopra. L’ impostazione proposta è dunque in grado di trasformare un’ etica dei diritti naturali in una politica dello stato minimo, e a questo punto possiamo proseguire la nostra elencazione rinviando per i dettagli al post “la mia politica”…]

Un principio del genere non si presta a radicalizzazioni (tipiche dei diritti naturali comunemente intesi).

Un principio del genere è compatibile con un ruolo limitato dello stato limitato a produttore di beni pubblici in senso stretto e regolamentatore dei monopoli naturali. Quando parlo di “ruolo limitato dello stato” il lettore impolitico dovrebbe leggere “ruolo limitato della forza”.

Un principio del genere consente di intervenire con la tassazione per riequilibrare eventuali esternalità.

Un principio del genere implica una metafisica  più soddisfacente (per me) rispetto a quella implicata da teorie rivali, ho in mente l’ esperimento mentale di Rawls, autore dal quale non si puo’ prescindere affrontando il tema della giustizia distributiva (qui un appunto critico al suo approccio).

 

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Finora ho parlato di etica in senso strettamente laico ma a un credente tutto cio’ non basta. Esiste allora  un supplemento di verità morali a cui deve attenersi ed esse derivano dalla sua fede in Gesù e nella Chiesa Cattolica. Si tratta di adempimenti che scaturiscono essenzialmente da un’ obbedienza: Gesù è venuto per dirigerci con l’ esempio laddove la nostra ragione vacilla. Come comportarsi nel campo della sessualità? Come regolarci sul fine-vita? Come vivere nel matrimonio? Che regole seguire per l’ alimentazione? Eccetera. Solo l’ esempio di Gesù tradotto dalla Chiesa e vissuto nell’ obbedienza puo’ entrare in questi particolari.

Sebbene nella dimensione laica sia giusto definire questi doveri particolari come supererogatori, la dimensione di fede li trasforma in precetti obbligatori.

Per quanto abbia usato il termine “particolari” devo subito aggiungere che parliamo del 90% dei precetti morali a carico di un individuo, molti addirittura con la parola “etica” designano solo questa categoria di precetti, riservando per l’ altra il termine “giustizia”.

Oltretutto, non si pensi il non-credente sia esentato da questo “fardello”. Tuttaltro! In  genere gli studiosi, specie gli psicologi evoluzionisti, la considerano un’ etica strettamente collegata alle emozioni. Emozioni per il non credente, obbedienza per il credente.

Si tratta in genere di rispettare tabù che se infranti non farebbero comunque vittime. ogni uomo necessita di una dimensione sacrale, e la cosa investe in tutto e per tutto anche gli atei: il “politicamente corretto” è la loro Messa, e la celebrano tutti i giorni, mica solo la domenica. Di solito sono coinvolte la dimensione del rispetto e del disgusto, che uno studioso come Jonatahn Haidt ha studiato a lungo:

“John e Mary adorano il loro Fido, un cagnolino stupendo. Purtroppo Fido viene investito da un auto, i suoi padroni hanno sentito che la carne di cane è deliziosa, così, non visti da nessuno, quella sera stessa sezionano il cadavere di Fido, lo cuociono e lo mangiano. Domanda: pensate che John e Mary abbiano agito rettamente in questa occasione?”

“Un uomo va al supermercato una volta alla settimana e compra un pollo. Tornato a casa, prima di cuocerlo, ha rapporti sessuali con la carcassa del pollo. Poi lo cuoce e lo mangia. Un comportamento del genere è condannabile”

Una cosa è certa: si tratta di comportamenti che non procurano danno a nessuno dei soggetti coinvolti. Eppure noi – credenti e no – sentiamo l’ esigenza di condannarli. In nome di cosa? Se la ragione non è utilizzabile non resta che l’ obbedienza (credente) o l’ emozione  (ateo).

C’ è nell’ uomo, nella sua natura, un disgusto per l’ impuro, un’ attrazione per la purezza e la perfezione. Negarlo sarebbe inutile, e la scienza conferma. Forse perché quel che finora ho chiamato “carico” o “fardello” in realtà non è altro che la possibilità di migliorarsi sempre e di avere una meta. Qualcosa che anziché “gravarci” sulle spalle ci rende felici e ci realizza.

L’ etica come “comando divino” offre poi molti vantaggi e, qualora non pregiudichi la laicità, non c’ è ragione per non sceglierla.

In conclusione, dopo quanto detto, qualcuno potrebbe chiedersi: “ma allora la nostra meta-etica dovrà essere “cognitiva” (fondata sulla ragione) o non-cognitiva (fondata sul sentimento?

Dopo quanto detto, non si puo’ negare che il sentimento di ripugnanza abbia un ruolo in molti giudizi etici. In questo senso l’ etica puo’ essere vista come divisa in due: principi di base (cognitivi) e limiti ai principi + precetti ulteriori (non cognitiva). Deontologia e virtuismo possono convivere e forse proprio questa distinzione è la base di una sana laicità.

 

 

 

 

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