Nel paese dei muri con le orecchie

Per molti di noi “essere buoni” implica in qualche modo anche il “saper fare di conto”: poiché una buona azione deve produrre buone conseguenze, è necessario saperle prevedere e soppesare, almeno per quanto nelle nostre forze.

Oggi ancora più che un tempo le conseguenze sembrano al centro di ogni ragionamento etico. Pragmatici e utilitaristi danno grande enfasi all’ effetto ultimo di cio’ che si compie.

Possiamo chiamare “conseguenzialista” chi simpatizza con questo approccio.

Si è parlato tanto di “etica della responsabilità” (attenta alle conseguenze) contrapponendola all’ “etica delle intenzioni” (attenta all’ interiorità). Se non ti schieri per la prima vivi nel passato.

Ma c’ è un “ma” e con un esempio cerco di indicare dove si trovi la pietra d’ inciampo di ogni visione “conseguenzialista”.

… L’ albergo dove alloggia Clara prende fuoco e le fiamme divampano in pochi secondi. Lei fa appena in tempo a mettere in salvo suo figlio che giocava nell’ atrio. Ricostruendo a posteriori l’ accaduto ci si accorge che la donna avrebbe potuto salvare i due bimbi tragicamente periti che stazionavano più vicino a lei se non fosse corsa d’ istinto verso suo figlio che in quel momento giocava più distante. Giovanni, un pragmatista, chiamato a giudicare l’ operato di Clara da un punto di vista etico, applicando il suo approccio non puo’ esimersi da una condanna. Non è possibile fare altrimenti visto che, sebbene dirlo non sia facile, due vite pesano più di una. Anche Clara, a sorpresa, si dice una seguace del pragmatismo e capisce che ha agito in modo eticamente scorretto, eppure non si sente colpevole, non riesce a pronunciare una sincera condanna su di sé e sul suo operato in quelmaledetto giorno. In fondo l’ amore che ha coltivato per tutta la vita verso suo figlio aveva anche una funzione “pragmatica” e non poteva certo “liberarsene” in un attimo nel corso di quei terribili secondi…

Tutti comprendiamo lo stato di Clara e riflettendo sul suo dramma scorgiamo qual è il limite delle teorie etiche conseguenzialiste: spesso individuano comportamenti scorretti che poi non riescono a “condannare”. Una grave dissociazione. Clara si è comportata in modo sbagliato ma non è colpevole.

Per riepilogare da un’ angolazione leggermente diversa, secondo il pragmatista “rubare è sbagliato finché procura del male”, ma, affinché la gente si educhi a non rubare, potrebbe essere più efficace farle credere che rubare sia un “male in sé”, senza far intervenire nel ragionamento tanti faticosi distinguo. Un auto-inganno di questo tipo sembra proprio la soluzione più efficace. Ma credere che “rubare sia sbagliato in sé” vuol dire cessare di aderire al pragmatismo.

Insomma, capita spesso che il pragmatismo ci spinga verso teorie etiche diverse dal pragmatismo. Se il pragmatismo viene “professato” cessa di funzionare al meglio.  Una teoria etica del genere si suole etichettare come “auto rimuovente”.

Oltre ad essere auto-rimuovente il conseguenzialismo è probabilmente “esoterico”, ovvero: funziona al meglio solo se  creduto vero e praticate da pochi. Questa élite è tenuta a sussurrare la sua fede in circoli ristretti stando ben attenta al fatto che anche i muri possono ascoltare.

A voce alta, quando sentono popolo e muri, meglio sarebbe emettere un edificante fiotto d’ ipocrisie ben confezionate.

E se si vive davvero nel paese in cui “anche i muri hanno orecchi”, allora possiamo arrivare a dire che il pragmatismo si auto-confuta.

Michael Beitz i muri hanno orecchie  link

Ma è funzionale che una teoria etica sia auto-rimuovente? E’ morale che una teoria etica sia “esoterica” e “ipocrita”?

Ci sono buone ragioni per rispondere di no ad entrambe le questioni. Specie se dobbiamo fornire una risposta che travalichi il circolo esoterico.

Spero di aver seminato qualche dubbio ai pragmatisti che magari saranno indotti a cercare sul mercato dell’ etica qualcosa di più promettente. La merce non manca.

Derek Parfit – Reasons and Persons

 

14 pensieri su “Nel paese dei muri con le orecchie”

  1. Ma credere che 2rubare sia sbagliato in sé” vuol dire non professare più il pragmatismo.
    Davvero?

  2. Bé, il pragmatico giudica le azioni in base alle conseguenze e non “in sé”.

    L’ amore di Clara per il figlio era un “bene in sé”, da qui la condanna di Giovanni per il suo comportamento durante l’ incendio.

  3. Temo sia vero. Condivido molto questo post (anche se l’esempio non sta in piedi).
    Però c’è qualcosa che non quadra: com’è che nel regno del pragmatismo, gli USA, il “senso civico” impone una serie di comportamenti tipo il non rubare anche quando non si fa male a nessuno? Mi viene in mente, tanto per cambiare, un esempio della Sclavi: parcheggiare l’auto sul marciapiedi dove non dà fastidio a nessuno è considerato negli USA roba da buzzurri, e se lo fai intervengono le vecchiette a rimproverarti. Qui da noi al limite, se vedi qualcuno che lo fa, pensi “maledetto m’ha fregato il posto”.

    Forse è davvero pragmatico pensare che affinché la gente si educhi a non rubare, potrebbe essere più efficace farle credere che rubare sia un “male in sé”, senza far intervenire nel ragionamento tanti faticosi distinguo. Non ci sono tante auto-confutazioni che tengono, e anche gli adepti al circolo esoterico alla fine si convincono che parcheggiare sul marciapiedi sia sempre e comunque un male in sé.

  4. Non riesco a vedere un comportamento scorretto in Clara. Non dimentichiamo, oltre all’amore per la propria prole, la sopravvivenza dei propri geni. Penso che la maggioranza si sarebbe comportata così, in modo egoista, forse animalesco, ma assolutamente pragmatico. Dopo aver letto “Naturalmente Comunisti” oserei dire che Cimatti non sarebbe d’accordo con me, ma quello è un altro paio di maniche.

  5. Vlad, nessuno penso veda niente di grave nel comportamento di Clara.

    I problemi ci sono per chi pur “non vedendo niente di male” si professa “conseguenzialista” (o pragmatista).

    Il conseguenzialista infatti adotta questa massima: “scegli sempre l’ azione che come conseguenza produce il massimo del bene”.

    Clara salva una vita quando poteva salvarne due. Il “conseguenzialista” Giovanni deve per forza dichiarare che cio’ è scorretto.

    Ma il bello è che Clara agisce così perchè, anche sulla base di considerazioni pragmatiche, ha lasciato in passato che il suo amore si riversasse sul figlio (in genere è molto “pragmatico” il fatto che ogni mamma voglia un bene tutto particolare al suo bambino) e ora, durante l’ incendio, non puo’ certo fare marcia indietro rispetto a questa inclinazione. E’ la stessa natura umana che non glielo consente.

    Penso che nessuno possa condannare Clara, infatti l’ esempio serve solo a mettere in luce una debolezza della teoria pragmatista visto che, senza dubbio, in occasione dell’ incendio Clara non ha agito in conformità a quei principi.

    1. Visto che hai scomodato la natura umana, come avevo già fatto implicitamente nel mio commento, a questo punto sarebbe veramente interessante scomodare cimatti e vedere come, alla luce delle sue teorie, spiegherebbe le contraddizioni di questo esempio.

    2. No, l’esempio non funziona, perché il pragmatico si comporta razionalmente allo scopo di massimizzare il proprio bene. E ovviamente il proprio bene è massimizzato salvando il proprio figlio. Etica e pragmatismo fanno a pugni (e dubito comunque che eticamente sia più corretto salvare i due bambini).
      Ciò non toglie che il ragionamento di fondo del post stia in piedi. L’esempio dell’auto sul marciapiedi mi pare funzionare molto meglio.

  6. il pragmatico si comporta razionalmente allo scopo di massimizzare il proprio bene

    Mi sa che c’ è un problema di definizioni. Tu parli dell’ egoista razionale. Ho già affrontato in un post precedente quel tipo e le contraddizioni a cui va incontro.

    Il pragmatico è invece un “conseguenzialista” e si attiene a questo principio: “opta per l’ azione che massimizza il bene complessivo” declinandolo poi in modo particolare. Il fine (il bene generale) giustifica i mezzi.

    Il pragmatico cerca il bene generale pragmaticamente, l’ egoista cerca razionalmente il suo bene.

    Mi attengo alle definizioni di Parfit, essendo un autore che, almeno in questo settore, mi sembra abbia le carte in regola per dettare l’ agenda.

    1. Pensavo che il pragmatico fuggisse le tentazioni idealiste. “Massimizzare il bene complessivo” mi sembra un ideale di per sé poco pragmatico, persino anzi utopico. Effettivamente potrebbe trattarsi di un banale problema di definizioni. In ogni caso, è difficile quantificare l’impatto della scelta di Clara sul bene complessivo. Sarebbe difficile farlo a freddo, figurarsi nei pochi secondi che ha a disposizione, e il pragmatico questo dovrebbe saperlo, evitando dunque i sensi di colpa che renderebbero il pragmatismo “auto rimuovente”. Difficile quindi liquidare il pragmatismo con questo esempio.

    1. Per ora ti passo un link dove c’è una sua intervista, letta qualche giorno fa, relativamente esauriente in proposito. Non mi sembra abbia toccato la famosa tesi di cui parli, cmq ricontrollo.
      Per il post rimando di qualche giorno. Ci sono un paio di passaggi chiave che mi hanno lasciato perplesso.

  7. Parfit si occupa di etica e quando parla di “pragmatismo” parla di una teoria etica particolare.

    L’ uomo etico persegue il bene e il pragmatico è colui che lo persegue “pragmaticamente”. Parlando del bene complessivo ci riferiamo ad un pragmatismo assoluto.

    L’ egoista razionale persegue solo il bene relativo a se stesso. Qualora lo perseguisse pragmaticamente, aderirebbe comunque un “pragmatismo relativo”. Relativo a quel bene.

    Quanto alla “quantificazione dell’ impatto”, il pragmatista crede che in molte occasioni si possa fare, anche se solo in termini probabilistici. Basta pochissimo, un’ inezia per far pendere il suo piatto.

    E quando non si puo’ fare questo calcolo tutte le azioni sono per lui indifferenti visto che contano solo le conseguenze.

    Ti faccio un esempio.

    Hai due possibilità e devi scegliere: 1. Salvi Giovanni che sta per essere assassinato da Lorenzo, infatti puoi persuadere Lorenzo ad astenersi dal suo insano proposito. O 2. Salvi bruno da un incendio che lo sta bruciando vivo.

    Per il pragmatista puro la scelta è indifferente: salvi sempre una vita umana.

    Ma per chi ritiene che fare qualcosa di malvagio sia un “male in sé”, questo non è vero: nel primo caso salvi una vita umana e impedisci a Lorenzo di agire in modo malvagio, il che è un “bene in sé” (un cattolico direbbe che gli impedisci di peccare). Nel secondo caso salvi solo una vita umana.

  8. Hai ragione Vlad, il “comunismo naturale” di Felice Cimatti non sembra quello che si potrebbe costruire sulle tesi Wilkinson/Pickett.

    L’ uomo è fatto per l’ imprevisto e la possibilità, da qui il comunismo.

    Finora, devo dire, era circolata una tesi un po’ diversa che opponeva i fronti 1. e 2.

    1. l’ uomo è fatto per l’ imprevisto e l’ innovazione, da qui il capitalismo con le sue crisi, i suoi rivolgimenti, la sua continua “distruzione creativa” che ci fa avanzare a strattoni.

    2. l’ imprevisto e la gerarchia fanno male alla salute (ansia…), da qui il comunismo e il suo placido e sereno immobilismo nell’ eguaglianza.

    Non capisco ancora bene come Cimatti riesca ad invertire i fattori.

    Se ci si limita ad una critica della “proprietà intellettuale”, allora bisogna segnalare che è autorevolmente presente anche nella visione capitalistica.

    Le altre cose mi sembrano un po’ fantasiose (campate in aria?). Ma non posso dirlo con soddisfazione visto che lui mi previene – segno che conosce i suoi punti deboli – e dice che non dobbiamo aver paura della fantasia (e quindi neanche di costruire castelli in aria).

    Tanto per fare un esempio.

    Sembra auspicare “risorse in mani pubbliche e ben controllate” ma poi dice anche che “il comunismo significa una comunità senza stato, senza coercizioni…”.

    Mi chiedo senza Stato e senza Coercizioni chi esercita e come si esercita il controllo tanto auspicato delle risorse pubbliche.

    Mah. Spero che il libro dissipi i dubbi con cui leggerò il libro, ma non sono molto fiducioso.

     

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