La mia fede

Oggi e sempre di più il cattolico si scontra in società con un muro d’ indifferenza quando non di derisione, al più è tollerato se le iniziative a cui dà vita hanno un qualche rilievo sociale, in questo caso si accompagna la pacca sulla spalla con queste parole: “sei un tipo un po’ inquietante ma finché ti comporti bene puoi convivere con noi”. Tutto cio’ lo richiama a una difesa più articolata delle fede e se questo è vero per noi, figuriamoci per i nostri figli domani.

Come portare allora qualche argomento a difesa della fede che suoni sensato anche alla controparte? Come deve spiegare cio’ che è e cio’ che fa a chi sembra vivere su un altro pianeta? Come puo’ parlare della sua fede in modo seducente senza edulcorarla? Come deve impostare la sua apologetica?

fede

Di seguito faccio le pulci a cinque figure di credente. Nonostante le mie succinte critiche si tratta di figure per molti versi ammirevoli, e lo voglio dire subito per evitare ogni equivoco. Solo che con le loro modalità non rispondono secondo me al bisogno cui vorrei far fronte: guadagnarsi il rispetto sincero dell’ ateo mantenendo ferma la dottrina.

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La ragione insita nell’ atto di fede è stata a lungo screditata da chi ha puntato su un fideismo talmente semplice da affascinare soprattutto i “semplicioni”. Senonché, oggi, la massa non è composta né da colti né da semplicioni, bensì da un ideal tipo che incute timore: l’ acculturato.

L’ acculturato segue “duci” come Augias, avete presente? Libri sfogliati, rapide infarinature a suon di frasi fatte (con l’ alternativa delle frasi ad effetto), il poster di Giordano Bruno al muro e tanto tifo sugli spalti del dibattito per la testa d’ uovo preferita. L’ acculturato, se da un lato non si beve tutto, dall’ altro non ha nemmeno tempo e voglia di  approfondire sospendendo prudentemente il giudizio.

Nulla va lasciato in sospeso. L’ acculturato dà un senso alle sue prolungate immersioni nel mare dei mass media, delle librerie e dei festival solo se riesce a guardare dall’ alto in basso e punzecchiare i pochi sempliciotti rimasti sulla piazza, e spesso li trova nelle Chiese che ama frequentare con l’ intensità della beghina: Augias, Fo, la Hack, Odifreddi sembrano più ossessionati di Santa Caterina, non parlano d’ altro che di “quello”.

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Altri credenti pietiscono l’ ascolto dell’ “uomo moderno” puntando sull’ etica. Potrei chiamarli eticisti.

In questi casi l’ equivoco è sempre in agguato: l’ etica non è la fede! La morale serve al fedele giusto per rendersi credibile di fronte all’ infedele al fine poi di “evangelizzarlo”.

Chi punta sull’ etica finisce troppo spesso per dimenticare la fede, esita nel compiere il secondo passo, l’ unico che conta. La lusinga che deriva dal sentirsi riconosciuti lo appaga e lo blocca. L’ evangelizzazione, unica meta, è accantonata. Peggio, è sentita quasi come un’ offesa arrecata al prossimo che ci ha concesso un’ ammirazione da non mettere a repentaglio. Molto meglio vestire i confortevoli panni dell’ amico di tutti.

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Un altro tipo comune è il “credente estetizzante”, ama in modo smodato la liturgia e le bellezze che una cultura anti-iconoclasta come quella cattolica ha stratificato nei millenni e ora mette a disposizione dell’ umanità. Vede in questo patrimonio il veicolo privilegiato del messaggio cristiano: la Parola stessa non tollera di essere pronunciata se non con accenti altisonanti in modo da metterne chiaramente in luce il fulgore e il carattere soprannaturale. Tuttavia, per quanto la bellezza sia una componente imprescindibile della verità, la deriva estetizzante e profetica finisce un po’ troppo spesso per trascurare le ragioni più immediate, quelle legate al comune buon senso (emarginato per la sua proverbiale prosaicità), quelle che più di altre sono in grado di metterci in relazione con l’ Altro.

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A mezza strada tra il fideista, l’ estetizzante e l’ eticista si pone l’ esistenzialista, costui sintetizza pregi e difetti dei primi due. Il ciellino-tipo potrebbe rientrare in questa categoria.

Completamente coinvolto in quello che fa, è capace di gesti generosi; si butta a testa bassa nell’ esperienza di fede per viverla fino in fondo senza tralasciare nulla. Tutto cio’ è cosa buona e giusta ma spesso ci si dimentica dell’ altro (dell’ infedele) e della sua diversa sensibilità.

L’ “altro” resta spiazzato di fronte al fervore dell’ “esistenzialista”: com’ è possibile tanta indemoniata energia nel cogitabondo mondo d’ oggi? Comincia a sospettare una qualche forma di “integralismo”, o di “settarismo”, o di “lavaggio del cervello” e scappa tra l’ ammirato e l’ impaurito per tanta sicumera.

La posizione esistenzialista ha un difetto: pretende troppo. Ci si chiede di vivere come se Gesù fosse presente qui ed ora in questa stanza, non è affatto facile vivere così ogni giorno senza assumere qualche droga.

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Veniamo all’ ultimo “tipo” di fedele: il colto ortodosso. Ebbene, in tutta sincerità penso che la ragione sia maltrattata anche da chi si rifugia nell’ ortodossia del razionalismo tomistico. In questi casi la fede è ricavata da un freddo esercizio solipsistico condotto a tavolino, un gioco che lascia sempre più indifferente l’ indifferente.

Costui si chiede: se la fede è un teorema, come mai tanti pareri diversi che provengono da teste tutte stimabili?

Non ricevendo risposta a questa domanda che ritiene centrale, l’ “indifferente” va a fare shopping stabilendo il centro commerciale come sua nuova Chiesa.

Non si puo’ parlare con efficacia all’ infedele ricorrendo solo a concetti atemporali, neanche al più disponibile. Io non riesco a parlare neanche a me stesso con concetti del genere, molto meglio le analogie prese dal nostro mondo (e quindi temporali). Il tomista descrive perfettamente l’ inferno ma chi lo ascolta immagina l’ inferno come una realtà temporale e si scandalizza. E’ normale che sia così.

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Vengo subito alla parte propositiva del post e introduco l’ ultimo tipo di credente, il “probabilista”, è quello che mi convince di più, non lo nego.

Per lui nel discorso sulla fede deve valere né più né meno quel che vale nel discorso sulla vita: ognuno di noi ha delle intuizioni da cui parte e che aggiorna via via a seconda delle informazioni che riceve vivendo. La fede cambia e fedi diverse sono giustificate purché si sappia che si progredisce convergendo: la convergenza degli onesti.

Ecco allora che ci formiamo delle opinioni su Dio nella stessa maniera in cui ci formiamo delle opinioni sul concerto che abbiamo ascoltato o sul campionato di calcio che seguiamo con passione. Utilizziamo le medesime abilità cognitive e siamo minacciati dalle medesime dissonanze.

In altri termini, la fede è un’ espressione del nostro buon senso, basta scegliere le giuste analogie tratte dall’ esperienza quotidiana per comprenderla e farla comprendere.

Il probabilismo è un razionalismo moderato e dialogante poiché rende conto del fatto che io e te possiamo essere entrambi persone ragionevoli anche mantenendo posizioni (al momento) differenti. I nostri “a priori”, che dipendono dalle diverse esperienze da cui proveniamo, spiegano cio’ che ci separa.

Dopo questo riconoscimento comincia un confronto e se c’ è buona fede l’ esito finale segnerà dei cambiamenti.

Tutto cio’ è troppo ottimistico? Non direi, si è posta la condizione della “buona fede”, non mi sembra una condizione da niente, anzi è una condizione molto difficile da realizzare.

Il probabilismo è il metodo che impiegano i commissari della squadra omicidi per restringere la cerchia dei colpevoli. Un metodo molto umano e comprensibile a tutti, di sicuro agli appassionati di film gialli oltre che agli appassionati di teologia naturale. Penso che il probabilismo sia il modo migliore di incamminarsi verso Dio, quatti quatti, come tanti ispettori Clouseau.

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Il probabilismo ha un pregio: consente di esplicitare cosa ci farà cambiare opinione.

E’ un prerequisito importante per chi tiene all’ onestà intellettuale. Esponendo dei fatti per noi rilevanti indirettamente ammettiamo che nuove scoperte intorno a quei fatti potrebbero costringerci a rivedere almeno in parte la nostra posizione.

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In epoca digitale gran parte dei discorsi sulla fede si intrattengono sul web con “amici virtuali”. Ora, la rete è una realtà meravigliosa ma proprio per l’ abbondanza dell’ offerta fomenta atteggiamenti superficiali (come concentrarsi sui duri esercizi Sufi quando ci arrovella il dubbio che gli esercizio ignaziani, a un click da noi, forse si attagliano meglio alla nostra personalità?). Anche per questo è bene che il progresso spirituale resti ancorato alle vie tradizionali incentrate sulle comunità designate dalla tradizione: famiglia, parrocchia, movimento. Tuttavia anche la rete puo’ dare un contributo al nostro progresso spirituale, il miglior modo per sfruttarla consiste nel confrontarsi apertamente con il “diverso” (una risorsa che la vita di “comunità” non offre), ecco allora che proporre il proprio messaggio secondo i dettami dell’ approccio “probabilistico” si dimostra una buona scelta: è un approccio dialogante, è imperniato sulla ragione scientifica, è aperto al confronto e facilmente comprensibile a tutti.

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Il probabilismo resta comunque avversato da molti, a volte con delle ragioni: come è possibile credere in modo sincero sulla base di probabilità e buon senso? Sarà sempre una fede tiepida.

E’ avversato dai tomisti, per esempio, perché non fornisce una giustificazione completa alla fede.

E’ vero, il probabilismo lascia aperto un gap. Ma forse lo si puo’ colmare con un eccesso di fede consapevole, un’ escrescenza irrazionale che ci renda dei credenti in piena regola. Un sovrappiù magari alimentato dall’ arte e da altri tesori di bellezza con cui la gloriosa tradizione cristiana ci fa entrare in contatto. Sarà nostra cura liberarci dall’ “eccesso” una volta entrati in dialogo con l’ infedele.

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Questo “eccesso di fede” è forse l’ irrazionalità che rientra dalla finestra dopo essere stata cacciata dalla porta?

La risposta è un “no” secco e un’ analogia chiarisce il perché: siete di fronte ad un bivio, ci sono 55 probabilità su cento che la strada di destra sia quella giusta. Il soggetto razionale opta per andare a destra. Una volta che si è deciso puo’ imboccare quella strada con un entusiasmo e un ottimismo che non sono giustificabili in termini razionali, ma questo che vuol dire? La scelta è stata operata razionalmente, vogliamo forse condannare l’ entusiasmo e l’ ottimismo che realizzano e rendono felice quella persona? Ovviamente no.

La “passione” non mi sembra un’ anomalia così preoccupante, tutti noi, credenti e no, coltiviamo nella vita almeno un ambito in cui nutriamo una speranza che forse non è del tutto giustificata in termini razionali. In quell’ ambito siamo pronti a gettare il cuore oltre l’ ostacolo.

Potrei esemplificare ricorrendo ai settori più disparati.

Chi si occupa di finanza lo sa e puo’ dirlo numeri alla mano: il rischio dovrebbe avere un prezzo nei corsi di borsa ma così non è, evidentemente ci sono persone che s’ “innamorano” di alcuni titoli per quanto rischiosi essi siano; credono in essi e sono addirittura disposti a pagare pur di addossarsi il rischio che comporta il loro possesso. La loro è una forma di fede in ambiti lontanissimi dalla fede religiosa.

Chi si occupa di cavalli lo sa e puo’ dirlo: ci si innamora di un cavallo, si crede di riconoscere in lui cio’ che gli altri – incompetenti!- non hanno saputo vedere e si fanno puntate irrazionali in omaggio a questa fede che realizza la nostra persona.

Chi si occupa d’ innovazione puo’ dirlo: l’ innovatore non procede calcolando ma credendo in cio’ che fa. Se calcolasse si sarebbe già trovato da tempo un impiego al catasto.

Ma soprattutto puo’ dirlo e approvarlo chi si occupa di felicità: per essere felici dobbiamo sentirci coinvolti in una causa, abbracciarla completamente e crederci. A maggior ragione se questa causa è di ampio respiro, se la reputiamo importante e significativa in assoluto. In questo senso la fede è preferibile ai titoli di borsa e ai cavalli, anche se non manca chi si fa bastare quelli.

Anche la società umana nel suo complesso si giova della presenza di queste persone, sono un po’ come delle avanguardie, dei ricercatori che battono con cura la via per chi verrà, magari anche attraverso un “appassionato” fallimento, perché no?

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Bene, impostato il problema in questi termini, come costruire un’ apologia sensata anche per l’ ateo ma che non faccia sconti sul rigore?

Io procederei in questo modo.

  1. Riserverei dapprima una risposta a chi liquida le pratiche religiose come “ridicole” o quanto meno irrazionali. Lasciamo perdere per un attimo i contenuti della fede e concentriamoci sulle mere pratiche. La teoria dei giochi ci dice chiaramente che riti, culti, cerimonie, sacramenti e tutto quanto ruota intorno al “sacro” produce un bene prezioso che i logici chiamano “conoscenza comune” o conoscenza profonda”. Si tratta di un bene che consente di coordinare i comportamenti sociali e a volte di creare la comunità stessa. Questo beneficio prescinde dai contenuti del rito e deve quindi essere riconosciuto anche da colui che nega i contenuti della fede. In questo senso, chi liquida la religione come un fenomeno “ridicolo e irrazionale” adotta una posizione frettolosa che non considera il valore “performativo” che la credenza sviluppa in una comunità.
  2. Dopo affronterei una preoccupazione che blocca molti credenti; constatare che tra gli scienziati e tra le persone colte in generale aumenti il numero degli atei puo’ essere imbarazzante per il credente poiché la cosa corrobora l’ ipotesi per cui “chi pensa non crede”. Eppure ci sono parecchi elementi che consentono di eludere questa sconfortante conclusione.

    1. molti scienziati, più di quanti non si pensi, non crederanno nel Dio cattolico ma hanno comunque una loro vita spirituale (vedi il lavoro di Elaine Ecklund);
    2. poiché lo scientismo (solo la scienza “conosce”) è un buon candidato per sostituire la religione, esisterebbe un conflitto di interessi nel momento in cui uno scienziato è interpellato in materia: gran parte del suo capitale umano è investito proprio nella conoscenza scientifica! Sarebbe come chiedere a un professore se l’ “istruzione” serve, otterremo un autorevole parere ma “leggermente” viziato;
    3. per quanto l’ “intensità” di fede sia difficile da misurare, sembra proprio che tra i fedeli aumenti all’ aumentare della cultura (anche scientifica). Inoltre sembra proprio che, una volta tenuto conto dell’ effetto della ricchezza (e quindi dei sussidi all’ educazione) il nesso tra religiosità e intelligenza sia positivo.
    4. eliminando alcune domande ambigue su evoluzione e big bang ci accorgiamo che il legame cultura scientifica/fede cessa come d’ incanto di essere negativo.
    5. difficile che facendo scienza si perda la fede, molto più facile che facendo scienza ci si converta. Ultimo caso quello del genetista Francis Collins che, dopo aver mappato il genoma umano, ebbe a dire: “ho scoperto il linguaggio di Dio” (vedi Francesco Agnoli: credenti perché scienziati).
    6. l’ uomo d’ ingegno è più attrezzato per allontanarsi dal “senso comune” e la credenza in Dio poggia molto sul senso comune. Se aggiungiamo quanto sia “sexy” presentarsi nella società contemporanea esibendo una propria originalità, capiamo bene la lusinga a cui molti intellettuali anche raffinati sono sottoposti. In questi casi la sostanza passa in secondo piano.
    7. l’ università – la casa dell’ intellettuale – è luogo di trasmissione del sapere ma anche luogo di competizione dove gli intellettuali si esibiscono mostrando i loro “muscoli”, ovvero le complicate teorie che sono in grado di escogitare. Anche per questo un pensiero basato sul senso comune – come quello religioso – non attira.
    8. meglio sempre ricordare che in questi casi l’ asimmetria che ci si presenta tra credenti e non credenti è molto meno accentuata di quel che appare, questo per il noto processo di falsificazione delle preferenze che si attua al fine di socializzare al meglio tra simili. I meccanismi di esclusione non sono diretti ma sono efficaci: non recensiamo il tuo libro perché sappiamo cosa t’ ispira nel tuo intimo.
    9. tra gli intellettuali l’ ateismo prevale ma tra gli intellettuali che si occupano di religione (filosofi della religione) non è affatto così. Lo specialista della religione è per lo più un credente.
    10. c’ è poi un’ osservazione che contiene sempre la sua verità: “poca scienza allontana da Dio, molta vi riconduce”. In merito il fisico Russel Stannard ha scritto un bel libro in cui contrappone il bambino all’ universitario, le aperture mentali del primo e le paurose chiusure a riccio del secondo. Anche per qusto Dio diventa una favola per bambini, perché sono rimasti i soli a sapersi stupire. Loro e i grandi geni del’ umanità

    Un altro imbarazzo coglie il credente quando si sente “psicologizzato”: la fede è la tua droga (Marx); credi perché sei un debole in cerca di sostegni (Nietzsche); credi perché hai bisogno di illuderti per tirare avanti (Freud).

    C’ è anche, per esempio, chi sostiene che chi crede lo fa essenzialmente per trovare una casa e una comunità in cui rifugiarsi.

    Visto che una componente psicologica è normale che ci sia, il credente spesso si sente “smascherato” da queste accuse. Ma sono accuse che potrebbero essere facilmente ribaltate su chi accusa: non credi per carenza di empatia!

    I meccanismi psicologici che conducono alla fede sono stati indagati a fondo e – è vero – conducono anche a molte illusioni ma – ci si dimentica di dire – conducono per lo più a verità (per esempio l’ esistenza di emozioni e desideri nelle persone con cui abbiamo a che fare). I meccanismi psicologici grazie a cui molti si orientano su posizioni atee ricevono molta meno intenzione. Quando li si indaga si scopre che spesso l’ ateismo è molto spesso facilitato da un deficit cognitivo: esiste infatti una correlazione forte tra autismo e ateismo, per esempio.

    Tutto cio’ non dimostra nulla sui casi singoli ma implica un consiglio pressante: non psicologizzare l’ avversario. Non farlo perché su quel versante ce n’ è per tutti, e per l’ ateo in particolare.

    Sarebbe meglio allora trascurare la psicologia e prendere sul serio – almeno in prima istanza – le parola di chi non la pensa come noi: se uno ci dice che crede lo fa perché crede, se uno ci dice che non crede lo fa perché non crede.

  3. Disinnescata così una possibile bomba, inquadrerei il problema della scelta religiosa nella più ampia cornice della scelta razionale (vedi Pascal). L’ argomento della scommessa pascaliana puo’ essere indebolito, lo sappiamo, ma non annullato, L’ argomento, inoltre, funziona con probabilità infinitesimali mentre i punti seguenti provano che le probabilità a disposizione sono di un certo peso, al punto da rendere trascurabili le critiche all’ argomento della scommessa.
  4. E’ molto importante a questo punto enfatizzare le relazioni tra buon senso e dimensione soprannaturale. Dire che siamo almeno in parte persone libere e non predeterminate è un’ affermazione di buon senso. Dire che viviamo in un mondo reale e non in un’ allucinazione è un’ affermazione di buon senso. Dire che anche tu hai una mente come la mia è un’ affermazione di buon senso. Eppure si tratta di “credenze” pure.  Ecco, l’ affermazione della credenza in dio ha uno statuto epistemico in tutto simile a quello delle affermazioni precedenti, non puo’ essere definita assurda o bizzarra. Magari siamo esseri predeterminati, magari viviamo in un Matrix, magari tu sei un androide, magari dio non esiste… Magari ci sbagliamo ma cio’ non significa che noi credenti siamo dei tipi bizzarri (vedi Plantinga).
  5. La filosofia che più si oppone alla fede religiosa è il naturalismo. Vale la pena di considerare l’ implausibilità della filosofia naturalista, specie se chiamata a sostenere l’ impresa scientifica (anche qui il filosofo di riferimento è Alvin Plantinga e il suo ben noto argomento).
  6. Poiché l’ infinitamente piccolo ci parla di Dio, è il caso fare un un excursus in temi gravidi di conseguenze quali l’ incompatibilità tra materialismo e fisica quantistica (Stephen Barr)
  7. Fate presente che l’ uomo è una “macchina” costruita per credere. Ce ne si ricorda solo per mettere in luce gli svarioni che questa inclinazione ci fa prendere. Bisognerebbe ricordarsene anche quando si tratta di scegliere tra alternative problematiche: è più facile e razionale, in casi del genere, seguire le proprie predisposizioni naturali anziché ostacolarle! La “semplicità” è la nostra stella polare.  (Justin Barett)
  8. Offrite i misteri della matematica come indizio sulla plausibilità della prova teleologica. Eugene Wigner è forse l’ autore che meglio collega le due cose nel suo testo The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences.
  9. Anche l’ infinitamente grande ci parla di Dio. In particolare viene riabilitata l’ analogia dell’ ororlogio. La cosa migliore è rifarsi al concetto di “fine tuning” sviscerato da di John Leslie con la sua secca alternativa: o Dio o molti mondi. Cosa vi sembra più ragionevole?
  10. Persino i processi evolutivi portano acqua al mulino del teismo. Le specie animali sono molto diverse tra loro, eppure l’ occhio è qualcosa in che hanno in comune e funziona bene o male in modo sempre uguale. Evidentemente le pressioni di un ambiente condiviso pesano sugli esiti finali, in altri termini, esiste una certa “convergenza evolutiva”. Se fosse così l’ esistenza dell’ uomo non sarebbe del tutto casuale. Non è affatto detto che “riavvolgendo il nastro della vita” rivedremmo un film tanto diverso. Dove c’ è vita, c’ è umanità (altri pianeti compresi). Il fenomeno della convergenza evolutiva è stato indagato a fondo dal paleontologo Simon Conway Morris.
  11. Argomentate con la prova cosmologica di Swinburne: se le cose hanno un inizio allora è più semplice ipotizzare un essere onnipotente che non una catena causale infinita e costruita in modo complicatissimo da descrivere.
  12. Proseguire con Lane e il suo argomento di Kahlam: un universo che esiste da sempre (ipotesi alternativa all’ universo creato) sarebbe contrario al buon senso e pieno di paradossi.
  13. La logica pura la lascerei in fondo, non vale la pena di introdurre le dimostrazioni astratte dell’ esistenza divina; forse il fatto più rilevante è che ingegni sopraffini quali  Leibniz e Godel si siano convinti alla fede attraverso questa via.
  14. C’ è poi l’ argomento etico: per quanto le affermazioni dostoveiskiane siano fin troppo altisonanti, resta difendibile la tesi secondo cui al comando etico serve una base religiosa. Se dico “tutti gli uomini sono uguali” (e la gran parte dei precetti sono di questo tenore) distinguo nettamente il concetto di “uomo” da quello che designa le altre creature; ebbene, la scienza, tanto per dire, non è in grado di produrre questa distinzione, occorre una filosofia trascendentale e la filosofia religiosa è la prima a nostra disposizione. In aggiunta è fruttuosa la consultazione di auitori come A. E. Taylor e Robert Adams nella cui opera risaltano bene i vantaggi dell’ obbligazione etica quando deriva da un comando divino. Se questo fosse vero è chiaro che tutto cio’ costituisce un indizio dell’ esistenza di Dio.
  15. Accennerei infine a due principi, entrambi di buon senso ed espressi originariamente ancora dal filosofo analitico Richard Swinburne:

    1. Principio di Credulità – data l’assenza di un qualsiasi motivo per non credere, si dovrebbe accettare quello che sembra essere vero (ad esempio, se si vede qualcuno che cammina sull’acqua, si deve credere che stia accadendo)
    2. Principio di Testimonianza – data l’assenza di qualsiasi motivo di non credere loro, si dovrebbe accettare il fatto che testimoni oculari o credenti stiano dicendo la verità quando testimoniano di esperienze religiose.

    Continua.

  16. Chiuderei ricordando il mio intento (che a questo punto qualcuno potrebbe aver dimenticato): raccogliere qualche indizio concreto sull’ esistenza di dio operando all’ interno di una cornice nella quale un indizio infinitesimale potrebbe già essere sufficiente a dettare la scelta di fede come scelta razionale.

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Bene, giunti in fondo puo’ darsi che nessuno dei quindici punti sia convincente. Poco male perché ha senso solo la forza dell’ insieme e questa forza un piccolo effetto dovrebbe comunque averlo su un interlocutore onestamente appassionato alla verità.

L’ approccio probabilistico mi piace proprio per questa sua caratteristica: è scettico sulla prova regina e fiducioso sull’ effetto cumulo, un effetto che agisce in un contesto di scommessa pascaliana e richiede comunque un supplemento di fede che io non definirei “irrazionale” bensì appassionata”.

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Giunti a questo punto si potrebbero introdurre e discutere le verità del credo niceano: Gesù, la Trinità eccetera. Ma lo farei solo con chi è disposto a considerare la forza dei quindici  punti nel loro complesso, ovvero con chi è disposto a prendere sul serio l’ ipotesi teista. Fare il secondo passo senza aver fatto il primo causa formidabili capitomboli: torneranno ben presto a ridere di voi.

AGGIUNTE POSTUME

AGGIUNTA 1: Essere cattolici significa entrare in un gruppo poco selettivo (la Chiesa Cattolico espelle molto poco), il che presenta almeno due inconvenienti:

1) Il comportamento dei “peggiori” crea stereotipi che finisci per pagare anche tu. Esempio: siccome molti cattolici sono moralisti, anche tu, nel momento in cui ti professi cattolico, vieni considerato un moralista.

2) Sei portato a difendere quello che dice il tuo compagno cattolico, anche quando spara cazzate. Insomma, il “group thinking” fa perdere una certa indipendenza di giudizio.

Il primo inconveniente è superabile: paghi le esternalità negative (vedi esempio sopra) ma incassi le esternalità positive.

Il secondo inconveniente è più grave ma si puo’ superare grazie all’ adesione ai movimenti (che andrebbero quindi incoraggiati). Esempio di dinamica tipica: “io non sono semplicemente un cattolico, bensì un ciellino”. E qui non ci si lasci ingannare dal concetto ambiguo di deriva identitaria.

AGGIUNTA 2:

Molti atei obbiettano: se l’ universo fosse una creazione divina NON sarebbe ricolma di “sprechi” come in effetti è. Perché mai, per esempio, far nascere i dinosauri per poi annichilirli?

Ho letto questa argomentazione nell’ ultimo libro di Chicco Testa dove il manager si spinge a porsi domande esistenziali di ampio respiro.

Sul punto faccio due osservazioni.

L’ obiezione ha una sua forza ma, tutti, e in particolare l’ ateo davvero sensibile allo “spreco”, ovvero all’ “inutile che si verifica”, dovrebbe vivere con particolare imbarazzo il fatto che l’ universo che ci ospita consenta la vita quando un’ infinità di alternative possibili non l’ avrebbero mai permessa. Una forma di economia difficilmente spiegabile ricorrendo al caso.

Detto questo, puo’ anche darsi che eventi come quello dei dinosauri non siano uno spreco puro. Tutto cio’ che desta lo stupore e la curiosità dell’ uomo fa parte di una creazione ben fatta poiché è proprio grazie a questa facoltà che l’ uomo arriva a Dio. In sintesi, Dio, per forza di cose, sceglie di dar vita all’ unico universo che possa ospitare l’ uomo, tuttavia noi ci aspettiamo che all’ interno di quel progetto necessario non disdegni una forma di varietà “stupefacente” affinché lo stupore della sua creatura prediletta sia sempre sollecitato.

AGGIUNTA 3:

Oggi la maggioranza dei credenti evita  di puntellare la propria fede con la ragione, al più la si utilizza per respingere gli attacchi razionalisti. Eppure la Tradizione ha da sempre messo a disposizione del dubbioso argomenti razionali a supporto, da un certo punto in poi attingere al deposito della cosiddetta teologia naturale è diventato un atto caduto in discredito. la teologia naturale cerca di ricavare da cio’ che vediamo qualche notizia su cio’ che non vediamo e non potremo mai vedere. Nella storia del pensiero spiccano due nomi che potrei indicare come maggiori responsabili dell’atteggiamento generale oggi prevalente quando si valuta il rapporto fede/ragione: Hume e Kant, hai detto poco. La loro critica alla logica induttiva, ovvero alla possibilità di passare da una conoscenza delle cose sensibili alla conoscenza delle cose incondizionate e inosservabili, è stata devastante. Eppure oggi sappiamo che quella critica non poggiasse su argomenti particolarmente solidi e utilizzava altresì un concetto di “conoscenza” che escludeva quella probabilistica, ovvero l’unico genere di conoscenza oggi accettato nel processo bayesiano. Del resto la scienza ha cominciato proprio nel XIX secolo a costruire le sue teorie postulando la presenza probabilista di oggetti inosservabili, peccato perché se i due avessero assistito a questa evoluzione di una disciplina che ammiravano molto probabilmente avrebbero rivisitato i loro testi.

AGGIUNTA 4:

Ci sono dei criteri sulla base dei quali la persona razionale sceglie la teoria da privilegiare:

  1. capacità di predizione
  2. capacità di spiegare i dati già in nostro possesso
  3. semplicità.

La teoria di Dio è una Teoria del Tutto che va confrontata con le altre teorie concorrenti (universi infiniti, salto quantico, stringhe…) sulle quali si impone soprattutto per la sua semplicità e la sua economia. Quanto ai primi due punti, non sono molto utili. Le teorie del tutto che consideriamo in genere sono sempre compatibili con le scienze tradizionali cosicché la loro capacità di predizione e di spiegazione coincide con quelle della scienza stessa.

3 pensieri su “La mia fede”

  1. Ho appena cominciato a leggere. Questo: Oggi il cristiano si scontra con un muro d’ indifferenza quando non di derisione, al più è tollerato se le iniziative a cui dà vita hanno un qualche rilievo sociale, in questo caso si accompagna la pacca sulla spalla con queste parole: “sei un tipo un po’ inquietante ma finché ti comporti bene puoi convivere con noi”.

    Mi è venuto spontaneo pensare: Benvenuto tra le minoranze.
    (Per fare uno dei tanti possibili esempi – non è quello che i cristiani (e non cristiani) dicono ai gay? Ma anch’io, come atea, ho camminato a lungo nei tuoi stessi mocassini, negli anni sessanta per esempio, a scuola e fuori.)

    E perché ancora argomenti “a difesa” della fede?
    La fede è una scelta personale, che secondo me ci può solo perdere, a essere “sostenuta”.
    Non ne ha nessun bisogno. Come io non ne ho di giustificare l’assenza della mia.

    Riprenderò la lettura più tardi.

  2. In me fede e ragione sono strettamente legate. L’ atto di fede me lo raffiguro come un tuffo in cui la ragione gioca il ruolo del trampolino da cui il tuffo viene spiccato. Affinché il tuffo sia plastico e ben realizzato bisogna posizionarsi all’ estremità percorrendo tutto il trampolino fino in fondo, gettarsi dalla base sarebbe problematico a dir poco.

    Comunque gli “argomenti”, a prescindere dal resto, sono necessari per dialogare e l’ “acculturato” (cioè l’ interlocutore odierno del credente) apprezza una parvenza di dialogo, molto più che l’ interlocutore dei tempi andati. L’ alternativa sarebbe la chiusura solipsistica e settaria nelle proprie fedi. Ad ogni modo più che “argomenti”, io prediligo l’ “indizio” e lo studio della natura umana per come ce la descrive la scienza.

    Precisato questo, salta meglio all’ occhio la differenza con la pratica omosessuale, questa sì una scelta legata unicamente ai “gusti” sessuali.

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