La libertà delle bisnonne

PREMESSA

1. Giovanni si trova di fronte ad un’ alternativa: bianco o nero? La legge gli consente di scegliere e lui, siccome preferisce il nero, sceglie il nero.

2. Giuseppe si trova di fronte ad un’alternativa: bianco o nero? La legge gli impone di scegliere nero, ovvero proprio ciò che avrebbe scelto senza imposizioni di sorta.

3. Gino si trova davanti ad un’alternativa, bianco o nero? La legge gli impone di scegliere il nero anche se lui avrebbe preferito scegliere bianco.

Nota: la prima legge è liberale, la seconda naturale e la terza coercitiva.

Si noti che Giovanni e Giuseppe sono due individui parimenti liberi grazie a leggi liberali o naturali. L’unica libertà violata dalla legge è quella di Gino.

Avendo in mente queste considerazioni esprimo una congettura: fatte 100 le leggi in vigore nell’epoca contemporanea, 50 sono del primo tipo e 50 del terzo. Fatte 100 le leggi in vigore nel XIX secolo, 50 sono del secondo tipo, 25 del primo e 25 del terzo.

Dal che si evince che nel XIX secolo la libertà era più tutelata di oggi.

In altri termini, il nostro mondo è più “liberale” ma garantisce meno la libertà.

Sembra un paradosso ma, come abbiamo visto, non è così se si va oltre le parole.

Attraverso lo stesso meccanismo è possibile congetturare che una donna del XIX secolo fosse più libera di una donna contemporanea.

CORPO

Focalizziamoci allora sulla provocatoria questione: la donna dell’800 era più libera di quella contemporanea?

Rispondere è importante, parliamo di un gruppo che costituisce metà della popolazione! Qualora la risposta fosse affermativa potremmo dichiarare che non esiste un collegamento tra libertà e quel che chiamiamo “progresso”.

Certo, un secolo fa la vita era più dura, ma lo era per tutti! Deve essere chiaro che il nostro tema non riguarda le comodità o il benessere materiale, sul quale non c’è confronto.

Passiamo ora al setaccio le varie obiezioni di chi si oppone alla tesi per cui la donna del XIX secolo fosse più libera delle sgallettate di Sex im the City.

Qualcuno potrebbe far notare come nel XIX secolo le donne non votassero.

Vero. Ma questo è irrilevante se poi di fatto erano comunque più libere. Ai nostri fini il voto è un mero strumento per guadagnarsi la libertà, non un fine, e a noi interessa la sostanza.

Tuttavia, esiste un’ obiezione ben più cogente: la donna sposata perdeva il controllo della sua proprietà e nemmeno era in grado di firmare contratti.

Questo era un grave vulnus alla libertà, bisogna ammetterlo. Tuttavia, il matrimonio rimaneva volontario.

Se non si desiderava  andare “sotto tutela” si poteva evitarlo: la “donna sola” manteneva intatte tutte le sue prerogative, non perdeva alcun diritto.

Ma direi di più, il fatto che le donne si sposassero in massa segnala che i diritti di cui qui ci preoccupiamo tanto oggi non fossero ritenuti poi così preziosi dalle interessate.

Inoltre, esistevano dettagliati contratti prematrimoniali attraverso i quali porre dei limiti alla tutela esercitata dal futuro marito. Erano uno strumento largamente utilizzato dai familiari delle spose facoltose.

Alcuni potrebbero pensare che una legislazione del genere costituisca comunque una “spintarella” paternalista verso una certa  organizzazione  della propria vita. Forse sì, ma nemmeno oggi siamo al riparo dal paternalismo, oserei anzi dire che se la mettiamo su questo piano il “presente” perde in partenza rispetto al “passato”. Abbiamo appena conferito il Premio Nobel al “re delle spintarelle” paternaliste, il che la dice tutta.

Forse non cogliamo il punto cruciale che giova ripetere: quando una legge ci impone di fare quel che vogliamo fare cessa di essere coercitiva e di conculcare  libertà. È proprio quello che accade con le donne del XIX secolo: molte leggi che le riguardano ci appaiono “coercitive” ma erano di fatto “naturali”, imponevano alla donna di fare quel che voleva fare.

La famiglia tradizionale oggi ci appare per molti aspetti problematica ma ha invece molto senso se vista nel quadro… della tradizione. Specializzarsi in ruoli diversi era vantaggioso per tutti ed era di fatto ciò che tutti volevano.

Aggiungo che all’interno del matrimonio la lettera della legge contava (e conta ancora) ben poco. Opponiti al volere della moglie e te ne accorgerai! Valeva allora ancor più di oggi: i modi per rivalersi contro un marito prepotente erano infiniti e tutti efficaci.

E gli stupri intramoenia? Pochi, e oggi comunque non sono molti di meno. Il fatto rilevante è ancora quello: la legge  incide ben poco tra le mura domestiche.

Altro esempio dell’importanza relativa della legge: la coabitazione era illegale, vero, ma era anche un reato di fatto lasciato impunito anche quando si realizzava alla luce del sole. Non c’è niente di più libertario che un proibizionismo meramente formale.

Si potrebbe pensare che la legge contasse laddove si veniva a realizzare una tensione tra i coniugi. Non è così: nel momento in cui si litiga invocando la legge il matrimonio è già finito, è ben difficile convincere una moglie appellandosi ad un comma! La legge, piuttosto,  pesa laddove si è già separati o divorziati.

E che dire della pressione sociale sulle donne?

La pressione sociale “non violenta” ha un nome preciso, si chiama “cultura“.

Nella cultura di cui parliamo erano immerse anche le donne, che a quanto pare la condividevano appieno. Molto spesso erano proprio loro a realizzare la “pressione” di cui sopra! Inoltre, il mercato, laddove esiste, allenta fino a neutralizzare le pressioni sociali diseconomiche.

A questo punto l’ipotesi che la donna del XIX secolo fosse più libera si rafforza, soprattutto considerato il peso centuplicato oggi assunto da fisco e regole. Quelli sì che sono vincoli da cui bene o male tutti vorrebbero evadere, quelle sì che sono in gran parte leggi coercitive.

Come escludere allora che questa perdita di libertà sia alla radice della misteriosa infelicità femminile?

CHIUSA

Forse la domanda che ci siamo posti all’inizio potrebbe essere riformulata così: la cultura può mai “violentare” qualcuno?

È evidente che la cultura “violenta” solo chi non la condivide. È altrettanto evidente che nel XIX secolo legge e “cultura condivisa” andavano a braccetto in modo molto più armonioso che oggi.

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